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Perché in Calabria il problema è solo quello di depuratori posti sotto sequestro, di spese tardive (o non effettuate) per rendere un minimo più efficienti gli impianti e non ci si decide, invece, di affrontare come si deve la questione delle schifezze che finiscono in mare?
PERCHÉ in Campania (nel comprensorio di Nola), un consorzio pubblico-privato ha ammodernato un grosso depuratore (che era stato sequestrato) senza rilasciare – durante i lavori – neanche un litro di reflui non trattati?
Perché in Puglia, in provincia di Brindisi, con un sistema di piccoli bacini artificiali sono riusciti (e lo fanno da dieci anni) a riutilizzare (a fini agricoli e ambientali) il cento per cento dei reflui trattati da un impianto di depurazione (senza scaricarne neanche un centilitro, sebbene “ripulito”, in mare)?
Le domande, evidentemente, sono mal poste. Rieccole: perché in Campania e in Puglia sì e qui, in Calabria, il problema è solo quello di depuratori comunali posti sotto sequestro, di spese tardive (o non effettuate) per rendere un minimo più efficienti gli impianti e non ci si decide, invece, di investire tutte le risorse investibili per affrontare come si deve la questione delle schifezze che finiscono in mare?
Perché bisogna attendere la stagione balneare per trovarsi di fronte ai problemi che, negli ultimi anni, hanno fatto scappare decine di comitive di turisti che erano venute qui per il mare bello e se ne sono andati per il mare sporco?
In un convegno che si è svolto ieri a Cerisano per iniziativa della Sigea (Società italiana di geologia ambientale) esperti qualificati del settore (Università, Enea…) hanno fornito uno spaccato di come funzioni un sistema moderno di depurazione e hanno tracciato i principali punti critici dei suoi malfunzionamenti. Una delle cose che è emersa con grande chiarezza è che la depurazione non è un settore in cui investi qualche milione di euro e tiri a campare. La depurazione è una cosa seria, e non solo per la tutela della salute ancor prima che dell’ambiente e della bellezza del mare calabrese, ma soprattutto per lo sforzo che, in termini finanziari e di progettualità, è richiesto se davvero si voglia cambiar pagina. Uno dei punti deboli del sistema è stato individuato nel “fattore umano”, ovvero in tutti quei casi in cui il gestore di un depuratore non voglia o non possa (per ragioni economiche o per una buona attitudine a delinquere) far funzionare a dovere l’impianto.
È il caso dei fanghi esausti smaltiti per le vie spicce, dei reflui deviati direttamente nei corsi d’acqua e via dicendo. Casi a volte documentati, altre volte ipotizzati in inchieste della magistratura.
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SUL MARE SPORCO E SU QUELLO PULITO
Siamo al due di aprile. La responsabilità politica della depurazione che non depura bene grava su tutti i livelli politici e amministrativi, dalla Regione ai comuni, da quelli costieri fino a quelli montani. I comuni non hanno risorse, ma in questo caso non può essere una giustificazione. Il primo grande progetto strategico per questa terra potrebbe essere proprio questo. Senza un sistema serio di depurazione, dal quale (oltre alla salute) possano trarre benefici il mare (sinonimo di turismo) e l’agricoltura, le strade supermoderne (ma quali?) e gli aeroporti con migliaia di voli (?) potranno servire solo a noi calabresi per andarecene. Quale è lo stato dei depuratori calabresi? Come funzionano? Quanti hanno un sistema di telemonitoraggio che consenta di seguirne il funzionamento 24 ore su 24?
La Regione ha fatto una verifica a tappeto dal punto di vista tecnico? Si parta da qui, e al posto dei dati ballerini sulla salubrità del mare pubblicheremmo volentieri notizie dettagliate sullo stato dei depuratori. Da qualche parte bisogna cominciare. Purché non si arrivi a luglio con la sola speranza che il mare sia pulito. E se così non dovesse essere, evitiamo ipotesi bizzarre sulle cause di schiumette e fanghiglia galleggiante. E soprattutto non fingiamo di non capire.
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