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NELLA valanga di dati statistici che ci ha investito nella settimana appena trascorsa c’è un capitolo relativo alla Calabria che fa un po’ impressione: secondo l’Istat qui c’è un basso grado di scolarizzazione. Nel senso che, stando al rapporto annuale, è minore di quanto non sia accaduto in tutte le altre regioni. La media nazionale di chi ha conseguito al massimo la “terza media” è del 42,2%. Sono dati raggelanti. A questo punto ci sono due strade: strizzare gli occhi per autoconvincerci che le statistiche sbagliano o, più razionalmente, si fa per dire, assistere al crollo dell’illusione che almeno l’istruzione non ci difetta. Se poi aggiungiamo che il 35,6% dei giovani tra i 15 e i 29 anni in Calabria non studia né lavora (in Italia, sempre secondo l’Istat, è in media il 26%), il quadro assume tinte ancora più fosche rispetto a tutti gli altri – soliti – indicatori che fanno della nostra regione la cenerentola nazionale. In una terra che ha bisogno di una consapevolezza più diffusa di quello che potrebbe essere e non è, una situazione del genere evidentemente non può passare inosservata, come si trattasse di un dato statistico qualsiasi. Salvo voler preservare il miraggio che sia sufficiente l’abbuffata di tecnologia e cascate di parole a portata di clic.
Ora, è evidente che non si tratta di un problema solo calabrese. Magari qui lo è percentualmente in misura maggiore, ma il fatto è che in una terra letteralmente afflitta da problemi di sviluppo, è difficile immaginare di poter fare molti passi in avanti senza una crescente capacità di analisi in un bacino sempre più vasto di popolazione. Il rischio, diversamente, è quello di fermarsi sempre alla superficie delle cose, dalle più piccole alle più grandi, dall’esame dei problemi al momento delle scelte. Rimane il dubbio che troppi, ancora, pensano di poter fare a meno dell’istruzione. E per ben intenderci, si sta parlando della formazione di base, non dello studio approfondito dei classici.
Lo studio dell’Istat ci riporta ad una realtà che da moltissimi anni si sconosceva, quantomeno fuori dai circoli degli addetti al settore o dei più attenti alle dinamiche sociali.
Da molto tempo eravamo abituati all’immagine di una regione iperscolarizzata con eserciti di cervelli alla ricerca di vie di fuga. Ora, se è vero che di menti calabresi eccellenti in tutti i settori è pieno il mondo, altrettanto vero è che troppi, qui, disertano le aule scolastiche. E cade anche, a questo punto, il luogo comune secondo il quale, in una regione povera di opportunità lavorative, le masse corrono all’inseguimento di diplomi di scuola superiore e lauree.
Qualche giorno fa è arrivata la bella notizia che la spiaggia di Tropea è stata scelta tra le dieci più belle in Italia da un grosso portale di turismo. Per apprezzare le immense bellezze di questa regione non ci vuole certo una laurea, ma non sarà che per preservarle e valorizzarle servono nozioni e processi mentali acquisiti che non si possono improvvisare? Non si tratterebbe solo di un ritorno tra i banchi di scuola, ma anche alla capacità di attribuire il giusto valore alle cose.
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