4 minuti per la lettura
PER molti mesi, non tanto tempo fa, siamo stati bombardati (fino a esserne terrorizzati) dalle notizie sullo “spread”, che cresceva in maniera tanto preoccupante – ci dicevano – da far temere per la tenuta del Paese Italia. Poi le cose sono andate come sappiamo e lo “spread” è tornato a essere materia per economisti e speculatori finanziari. Cosa fosse quello “spread” lo sappiamo quasi tutti (ovvero il differenziale del rendimento dei titoli obbligazionari di Stato italiani, per quanto ci riguarda, rispetto a quelli della Germania, considerato il paese dell’area euro più affidabile agli occhi degli investitori pronti a scommettere sulle nazioni). Ora, se solo la Calabria godesse di maggiore considerazione a livello nazionale, correremmo il rischio che qualcuno ci profili un nuovo allarme spread, questa volta tutto nostro. Che grande onore sarebbe. In tutti i notiziari, poco prima delle previsioni del tempo, ci comunicherebbero il valore dello spread Calabria. Perché se proprio volessimo vederlo c’è uno spread Calabria, c’è la “forbice” (anche alla “forbice” siamo abituati, grazie ai sondaggisti) tra la regione dei calabresi e la regione dei politici e burocrati che la governano o che aspirano a governarla. La distanza tra le due Calabrie è sempre più rilevante e se, mettiamola così, le due fossero società quotate in Borsa, l’andamento sarebbe certamente diverso.
Il solito, logoro discorso della politica che appare lontanissima dalla gente e, soprattutto, indaffarata in tutt’altro che in iniziative per la gente che le ha affidato le proprie sorti? Può darsi. Fatto sta che la Calabria dei politici (una Spa i cui azionisti sono politici, amministratori, dirigenti dei pubblici apparati…) sarebbe uno dei titoli preferiti dagli speculatori finanziari, che lo venderebbero senza indugio allo scoperto, nella quasi certezza che le quotazioni sono in costante e inarrestabile calo.
E l’altro titolo, quello della Calabria dei calabresi? Gli speculatori probabilmente lo ignorerebbero, perché tanto su quell’altro penserebbero di andare più sul sicuro, seppure decisamente al ribasso. Gli investitori più accorti, invece, potrebbero acquistarlo. Sì, perché gli analisti sarebbero più capaci di noi calabresi stessi di verificare che qui ci sono tanti fermenti interessanti. Quelli degli imprenditori che sono stati in grado di fare scelte strategiche vincenti (al punto da lasciarsi alle spalle le logiche del piagnisteo) o di una fitta schiera di giovani che, pur in condizione di sostanziale isolamento, si stanno cimentando in campi svariati, ripartendo per esempio da produzioni agricole di nicchia piuttosto che da iniziative di tutela e valorizzazione del territorio.
E poi ci sono i fermenti incarnati da centinaia e centinaia di giovani menti che hanno deciso di provarci. Qui. Giovani talenti che parlano la lingua dell’innovazione e sono in grado di credervi anche senza bandi per finanziamenti pubblici (che, comunque, non sono materiale demoniaco, tant’è che ci sono in tutto il mondo). Che si parlano tra loro, tanto per cominciare, e fanno rete. Inventano, cresciuti negli ambienti delle università calabresi ma non solo, sperimentano, si lanciano sul mercato. Sono circuiti che spesso sfuggono al racconto meno faticoso della Calabria, e che, invece, si incontrano facilmente sulla rete, sul nuovo modo di stare insieme dei “nativi digitali” o di chi, un po’ più grande anagraficamente, abbia avuto la voglia, il coraggio e l’umiltà di entrarci.
Per questa Calabria dei calabresi, che è più una regione di menti che di bellezze naturali, gli investitori probabilmente sarebbero pronti a metter mano al portafoglio, mettendo in conto, magari, che ci vorrà del tempo per raccogliere i profitti. Sull’altra Calabria, quella della politica e dell’amministrazione, anche quando un investitore volesse saperne di più per decidere se eventualmente “scommetterci”, non sarebbe una cosa immediata. Prendiamo le elezioni regionali (l’esempio, naturalmente, non è casuale): ancora non sappiamo con certezza quando si voterà, chi saranno i candidati degli schieramenti, non sappiamo con certezza se, caduta l’ipotesi delle “primarie istituzionali”, ci saranno quelle – come sembrerebbe – di coalizione. Non sappiamo, soprattutto, cosa gli aspiranti candidati intendano “fare”. Ecco, non siamo neppure al “faremo” di Renzi su scala nazionale. E siccome la Calabria non è un simulatore di Borsa, né un qualsiasi altro gioco, allora l’allarme c’è davvero. Ed è ben più esteso di quanto le schermaglie e le polemiche degli ultimi giorni sulle nomine nella sanità possano far pensare, perché l’allarme riguarda le prospettive che per questa terra, sul piano della gestione, neanche si intravedono.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA