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MAMMA mia, e adesso come si fa? Che succederà? Fino al giorno in cui saremo chiamati alle urne (presto) per eleggere il nuovo governatore della Regione, riuscirà il centrodestra a ricompattarsi? E, al suo interno, lo scontro diretto tra i Gentile e Scopelliti (scoppiato perché l’ex governatore ha avuto meno voti alle europee di quanto avesse previsto, e perché ha attribuito parte della responsabilità ai potenti – elettoralmente – fratelli cosentini) dove porterà? E, poi, il Pd farà le primarie per scegliere il candidato alla guida della Regione? O il presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio, che a quelle primarie si è candidato da tempo, anche ufficialmente, sarà “costretto”, in caso non dovessero tenersi, a organizzarsi diversamente? E, infine, sono davvero questi i problemi della Calabria e dei calabresi? Se si cedesse alla tentazione di un qualunquismo che da qualche tempo pezzi della stessa politica utilizzano – e anzi sfruttano per raccattare consensi – la risposta sarebbe: no, non sono questi i problemi di questa regione.
Con un piccolo sforzo di riflessione quella risposta cambia un pochino: questi sono alcuni dei problemi della Calabria, ma non necessariamente sono quelli principali. Lo sono, e saranno sempre più delicati nella misura in cui le dinamiche dei partiti non riusciranno, a momento debito, a consentire agli schieramenti di esprimere aspiranti amministratori che, se eletti, siano capaci di imprimere una svolta nella gestione di questa regione. C’è da scommettere – ed ecco un’altra tentazione qualunquistica – che molti calabresi hanno poco interesse, nella condizione in cui ci troviamo, per i simboli e le sigle dei partiti e sentono, invece, il bisogno stringente di avere grandi uomini al timone di questa regione.
Qualunquismo? Se si facesse un gioco del tipo: “quali sono le cose che non vanno qui” e, subito dopo, “quali sono le cose che funzionano in Calabria”, probabilmente il primo elenco che stileremmo in mente sarebbe molto più lungo del secondo. E basta così. Detto questo in premessa, accanto ai resoconti di quello che sta succedendo sul fronte politico regionale, e alle sempre allarmanti vicende di illegalità che hanno per protagonisti colletti bianchi, grigi e neri (perché anche gli uomini delle cosche indossano a volte camicie candide), nella settimana appena passata il Quotidiano si è occupato di alcune storie di calabresi che ti riconciliano con la speranza.
Ed anzi, più che ogni promessa da comizio elettorale, riconcedono spazio alla fiducia e alla consapevolezza che davvero non tutto è perduto. Storie semplici, si fa per dire, come quella di Mario Vuono, un giovane di 27 anni, di San Fili, nel Cosentino, che ha inventato un’App (cioè un’applicazione per telefonini) che ti consente, quando sei lontano da casa, di sapere in tempo reale qual è la guardia medica più vicina a te. E quella di Franco Eco, nome d’arte per un ventinovenne crotonese, Francesco Cerruto, che da qualche anno, a Roma, compone – tra l’altro – colonne sonore per film e programmi televisivi e anche in campo teatrale si sta facendo molta strada. Avete idea di quanti giovani, anche qui in Calabria, mentre nei bar (piuttosto che su Facebook) ci si accapiglia per le liti nel centrodestra piuttosto che per i veleni nel centrosinistra, fanno cose egregie? Qualche settimana fa, un collega, Francesco Rende, sul web ha scritto un articolo in cui fa un piccolo elenco di ragazzi che in questa regione hanno lavorato e lavorano a progetti di innovazione tecnologica.
Una rassegna che ti fa tornare il sorriso, la fiducia. Facciamo un altro esercizio: proviamo a pensare cosa succederebbe se anche la classe dirigente (i politici, gli amministratori e chi, a vari livelli, lavora negli uffici pubblici) qui riuscisse a diventare un’eccellenza. E se anche noi, comuni cittadini, senza responsabilità amministrative, provassimo a vedere le cose con fiducia? Nella diretta twitter fatta dalla casa editrice Rubbettino di un convegno (“Senza freni, per una ripresa a trazione meridionale”) che ha promosso a Soveria Mannelli mettendo a confronto economisti, docenti universitari e i vertici di fondazioni meridionaliste, si trova una frase della professoressa Marta Petrusewicz, dell’Università della Calabria: «I meridionali non sono solo vittime degli stereotipi, ne sono in qualche modo responsabili». Se anche isolata dal contesto della riflessione, presa così, quest’affermazione andrebbe tenuta presente almeno una volta al mese. Così che tutti possiamo avere occasione per pensarci.
twitter @ro_valenti
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