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PRESENTATE le liste degli aspiranti sindaci e consiglieri in 151 comuni calabresi, il turno elettorale del 25 maggio prossimo non rappresenta per la Calabria alcun test. A parte che di solito le elezioni amministrative – soprattutto nei comuni più piccoli – non danno particolari “segnali” politici utili per panorami territoriali più vasti, a parte che in ogni caso oggi al governo ci sono sia la destra che la sinistra, a parte che la Regione si avvia allo scioglimento anticipato per le note vicende giudiziarie del Governatore, a parte tutto questo, uno spaccato importante di cosa sia oggi la Calabria lo si ricava in anticipo, senza attendere di vedere cosa dicano le urne. Questa è la regione in cui la parola “collaborazione” è come se non fosse mai esistita (né praticata), in cui l’associarsi è inteso come una pratica diabolica, in cui il confronto per arrivare a una sintesi è considerato spesso un’offesa all’io. E non è difficile, allora, comprendere come in alcuni comuni piccoli siano state presentate quattro o cinque liste con altrettanti candidati a sindaco. Stiamo parlando di comuni con 1.500 o 2.000 abitanti.
Questa è la regione in cui la situazione economica è talmente depressa che in tanti casi si coltiva l’illusione che un seggio in consiglio comunale possa portare un brandello di potere (cioè, indirettamente, un qualche beneficio). Se poi vogliamo far finta che non sia così, pazienza. Questa è la regione in cui molte volte non si ha coraggio (quello di cambiare e quello di mettersi in gioco, prima di tutto) “perché tanto non cambia niente”. Sì, la regione della resa rassegnata, in cui può capitare – come è accaduto in un paesino del Reggino, a San Lorenzo – che ancor prima che il mancato accordo tra i rappresentanti delle varie frazioni portasse a non presentare alcuna lista, gli abitanti avessero manifestato il desiderio che al Comune rimanesse a governare il commissario prefettizio. La Calabria è questa, almeno è anche questa. E il test è già fatto, senza aspettare per vedere come andrà.
Acquisito questo affresco, si passa adesso a sperare che anche nei paesi più piccoli, e solo demograficamente più “insignificanti”, i cittadini riescano a selezionare bene, a puntare su persone che abbiano due semplici – si fa per dire – caratteristiche: che siano capaci e che siano pulite. E allora il rito delle urne potrà avere un senso, oltre a quello di ricordarci che, in via di principio, viviamo in democrazia. Peraltro, questa è una buona occasione per dare un segnale che la classe dirigente (in questo caso sul piano amministrativo) può migliorare. Un’occasione favorita, paradossalmente, dalla situazione di crisi in cui viviamo. In tempi di tagli (i sindaci eletti si troveranno da soli a gestire enti con tanti problemi e poche risorse), le tentazioni di orientare il voto su basi clientelari sono di gran lunga minori. Nei centri piccoli, ma anche in quelli più grandi, è rimasto ben poco da promettere in cambio dei voti. Che vuoi che si prospetti agli elettori in cambio del consenso, una strada privilegiata per ottenere un certificato di nascita? E, visto dalla parte dei cittadini-elettori, in assenza oggettiva dei presupposti per pretese o semplici aspettative di chissà quali “sistemazioni” per sé o per i propri figli, quale momento più propizio per pensare davvero al futuro della propria comunità, pur ristretta che sia? Gli aspiranti sindaci, anche quelli delle periferie più estreme, dei comuni più minuti, possono fare tanto, perché il “tanto” è sempre un concetto relativo e si misura sempre rispetto al punto di partenza. Non ne sono mancati, in Calabria, sindaci che sono passati alla storia, che sono ricordati dopo decenni per aver cambiato il volto di città e paesi.
Ecco, questa regione, in questo momento, ha bisogno di tanti sindaci che abbiano le carte in regola per passare alla storia, in ambiti territoriali piccoli e grandi. Sarebbe facile giocare con le parole per attribuire a questo appuntamento elettorale significati e speranze particolari: le candidature sono state presentate pochi giorni dopo la Pasqua di “Resurrezione” e all’indomani della festa della “Liberazione”. In realtà si tratta solo dell’ennesima chance per quei calabresi chiamati a esprimere il loro massimo rappresentante locale. E basterebbe poco per dare un senso concreto a quella voglia di cambiare che troppo spesso esprimiamo scuotendo la testa per disappunto su come vanno le cose oggi. Come si fa? E’ semplice, persino banale: penso di votare tizio perché potrebbe essere utile a me e alla mia famiglia. Ecco, questa è la strada sbagliata. E ci siamo capiti.
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