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L’INIZIATIVA promossa dal “Quotidiano della Calabria” Mai più fango, un sms per Sibari è riuscita a risvegliare un forte senso di partecipazione a quelli che sono i destini della nostra regione. In questo caso quelli culturali che non bisognerebbe mai slegare da quelli sociali ed economici. Almeno per la vicenda dell’area archeologica di Sibari stiamo assistendo allo squarciarsi di quel velo di indifferenza che da troppi decenni copre le coscienze civiche di un intero territorio. Una partecipazione che mette insieme le risorse di un paese: università, mondo dell’economia, cittadini, centri di cultura. Uno dei dati principali che ha messo in luce questa iniziativa è la continuità negativa con cui si verificano simili situazioni senza che alla fine sortiscano un cambiamento, una vera riflessione sul da farsi, un’azione seria e duratura da parte delle istituzioni, una partecipazione attiva dei cittadini nel seguire come le risorse pubbliche vengono spese in fatto di “beni comuni”. Soprattutto non lo possiamo nemmeno considerare un fatto esclusivamente di “Casa nostra” perché il mondo ci guarda e ci invidia questi regali immeritati ereditati dalla storia, come ricordava su queste colonne il 4 gennaio Salvatore Settis. Dal fango di Sibari potrebbe nascere la possibilità di un laboratorio di idee, di azione comune, che non si sostituisca alla politica ma che la incalzi nel fare, nel valorizzare il territorio e soprattutto che gli chieda conto dell’operato svolto e del non fatto. Una lodevole iniziativa «opportuna» e «necessaria» che può avere anche come risultato il riappropriarsi di qualcosa che purtroppo non sentiamo sempre nostro, che spesso conosciamo e amiamo in maniera insufficiente: il patrimonio culturale della nostra regione. L’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea (Icsaic) aderisce con convinzione a questa iniziativa, perché possa far nascere un interesse sulle tante altre “Sibari” sparse lungo il nostro territorio regionale di ogni periodo storico. L’interrogativo che si poneva Umberto Zanotti Bianco mezzo secolo fa ce lo poniamo anche noi: «Che cosa resta più delle famose città che i Greci fondarono su questi due mari e che ebbero una fioritura così vivida e intensa, oltre l’alone di poesia e di gloria che circonda i loro nomi?». Ma ci chiediamo soprattutto perché «non un’anima è tornata a dire il perché di tanta desolazione».
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