LA straordinaria iniziativa di questo giornale per liberare la zona archeologica di Sibari dal fango e metterla in sicurezza sta riscuotendo un grande consenso ed un fattivo e concreto appoggio che merita una seria riflessione. La prima cosa da dire riguarda il soggetto promotore di questa iniziativa. E’ un fatto del tutto insolito, nel panorama nazionale ed europeo, che un quotidiano locale riesca a mobilitare tanti soggetti, pubblici e privati, per salvare un patrimonio comune di inestimabile valore. E’ un fatto eccezionale che, da una parte dimostra il grande coraggio e spirito di iniziativa del direttore di questo giornale, dall’altra testimonia chiaramente il vuoto politico in cui vive questa regione.
E’ mai possibile che dopo un anno non si sia fatto niente per mettere in sicurezza l’area archeologica di Sibari, che i resti archeologici rimangono coperti dal fango, che si aspetti impotenti la prossima bomba d’acqua ? Ma, c’è un rovescio della medaglia che va guardato attentamente. La rapidità con cui istituzioni prestigiose, come l’Unical e la Fondazione Carical , hanno risposto all’iniziativa, il concreto sostegno economico che è arrivato immediatamente dalla Cgil, il sostegno da parte di centinaia di cittadini, dimostra che non tutto è perduto in questa terra in cui spesso ci facciamo prendere dalla disperazione. Dimostra anche un’altra cosa che ritengo di grande rilevanza: per salvare il patrimonio comune della Calabria, per affrontare i grandi drammi che la affliggono, bisogna andare al di là del proprio ruolo. Non basta, come spesso ci dicono i magistrati o i prefetti impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, che ognuno faccia il suo dovere e tutto andrà a posto. Questo vale in un paese normale, non in una situazione eccezionale come quella in cui viviamo. Certo, ognuno deve fare il suo dovere, ma deve avere il coraggio e la passione per andare oltre. Un giornalista, un prete, un professore, un magistrato o un professionista o un semplice impiegato comunale deve innanzitutto svolgere il suo compito con efficacia e onestà, ma deve anche guardare oltre il proprio giardino. Non può mettere a tacere la propria coscienza solo perché, istituzionalmente o professionalmente, non rientra nel suo ruolo fare qualcosa rispetto allo sfascio sociale ed ambientale che vive questa terra.
E questo appare evidente nel caso della professione giornalistica. C’è, infine, un’ultima considerazione che a mio avviso va fatta. Il successo di questa iniziativa del Quotidiano della Calabria , come quello che riscosse nella famosa marcia contro la ‘ndrangheta a Reggio Calabria nel settembre del 2010, è dovuto alla credibilità di chi lancia l’iniziativa e al fatto che coglie un sentimento profondo che vive nell’animo di tante persone. E’ esattamente il contrario di quanto sta facendo il governo delle “larghe intese”. Questo governo non è riuscito finora a cogliere un elemento/bisogno comune alla maggioranza degli italiani, ad avviare una sola iniziativa che creasse mobilitazione sociale e culturale, una sola idea-forza che ridesse fiducia e speranza agli italiani. Le vere “larghe intese” sono quelle che mettono in campo iniziativa come questa, capace di creare delle vere sinergie tra soggetti diversi, di fare emergere le energie positive della società e dare fiducia in se stessi ai cittadini. Ce vorrebbero tante e le cose cambierebbero realmente e nella giusta direzione. Parafrasando l’indimenticabile Fabrizio De André possiamo oggi dire che dal fango possono crescere tanti fiori.
*Ordinario di Sociologia all’Università di Messina