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«I NOMI voluttuosi e atletici di Sibari e di Crotone….»: su questa frase mirabile di Tomasi di Lampedusa si annodano millenni di storia, di oblio, di rinascita attraverso l’archeologia, la ricerca 

storica, la coltivazione della memoria. Sibari in particolare, luogo ancora mitico due millennii e mezzo dopo la sua distruzione totale. Mitico per una mollezza e amore del lusso che altri, forse, avrebbero definito cultura sofisticata, raffinatezza. Sibari, cercata invano a lungo finché le ricerche archeologiche degli anni Sessanta non ne accertarono definitivamente la collocazione. Da allora, Sibari è stata molto più di una parola nei dizionari: è stata un campo-scuola per generazioni di archeologi, è stata un luogo di visite e di studio, di riflessione, di ricerca. Ha avuto il suo museo, le sue iniziative culturali. Tutto travolto dal fango, in questo inverno elettorale.
In questo fango c’è molta verità, c’è un messaggio per noi. Il disastro appena avvenuto riguarda l’ambiente, riguarda il paesaggio, o riguarda l’archeologia? O è nostra colpa aver considerato questi ambiti come separati, e non aver saputo congiungerli in un solo grande progetto, culturale, tecnico e politico, da gestire non all’insegna delle combriccole e delle amicizie, ma sotto la bandiera del bene comune? Non è nostra colpa aver rinunziato a proteggere l’ambiente, a mettere in sicurezza il territorio, a tutelare davvero i monumenti, tagliando i fondi come tutti i governi (compreso l’attuale) hanno fatto da anni e anni? Bene comune vuol dire in prima istanza cultura della prevenzione: vuol dire mettere in sicurezza il territorio per impedire disastri come questo, e agire rapidamente quando qualcosa di imprevisto dovesse avvenire. Vuol dire adottare, con riferimento all’archeologia e ai beni culturali, quella «conservazione programmata» che Giovanni Urbani, grandissimo direttore dell’Istituto Centrale per il Restauro, teorizzò inascoltato alcuni decenni fa. Questo è il monito che viene dalla doppia rovina di Sibari (la rovina del fango sulla rovina del tempo): se non sapremo adottare una cultura della prevenzione, vantarci della nostra storia (anche dei «nomi voluttuosi e atletici di Sibari e di Crotone») sarà stupido e vano. Peggio ancora: sarà ridicolo. Forse, anzi, lo è già.

storica, la coltivazione della memoria. Sibari in particolare, luogo ancora mitico due millennii e mezzo dopo la sua distruzione totale. Mitico per una mollezza e amore del lusso che altri, forse, avrebbero definito cultura sofisticata, raffinatezza. Sibari, cercata invano a lungo finché le ricerche archeologiche degli anni Sessanta non ne accertarono definitivamente la collocazione. 

 

Da allora, Sibari è stata molto più di una parola nei dizionari: è stata un campo-scuola per generazioni di archeologi, è stata un luogo di visite e di studio, di riflessione, di ricerca. Ha avuto il suo museo, le sue iniziative culturali. Tutto travolto dal fango, in questo inverno elettorale.In questo fango c’è molta verità, c’è un messaggio per noi. Il disastro appena avvenuto riguarda l’ambiente, riguarda il paesaggio, o riguarda l’archeologia? O è nostra colpa aver considerato questi ambiti come separati, e non aver saputo congiungerli in un solo grande progetto, culturale, tecnico e politico, da gestire non all’insegna delle combriccole e delle amicizie, ma sotto la bandiera del bene comune? Non è nostra colpa aver rinunziato a proteggere l’ambiente, a mettere in sicurezza il territorio, a tutelare davvero i monumenti, tagliando i fondi come tutti i governi (compreso l’attuale) hanno fatto da anni e anni? 

Bene comune vuol dire in prima istanza cultura della prevenzione: vuol dire mettere in sicurezza il territorio per impedire disastri come questo, e agire rapidamente quando qualcosa di imprevisto dovesse avvenire. Vuol dire adottare, con riferimento all’archeologia e ai beni culturali, quella «conservazione programmata» che Giovanni Urbani, grandissimo direttore dell’Istituto Centrale per il Restauro, teorizzò inascoltato alcuni decenni fa. Questo è il monito che viene dalla doppia rovina di Sibari (la rovina del fango sulla rovina del tempo): se non sapremo adottare una cultura della prevenzione, vantarci della nostra storia (anche dei «nomi voluttuosi e atletici di Sibari e di Crotone») sarà stupido e vano. Peggio ancora: sarà ridicolo. Forse, anzi, lo è già.

* archeologo, gia direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa

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