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L’INTIMIDAZIONE a Michele Inserra, sebbene non ci sorprenda, è davvero allarmante. Sappiamo da tempo che è sotto osservazione particolare. Ma l’altra notte si è entrati in una nuova fase. Poiché quella voce non tace e non mostra alcun segno di volerlo fare occorreva un avvertimento chiaro e forte. I presunti ladri devono avere atteso che al termine del lavoro uscisse dalla nostra redazione di Reggio insieme ad un collega. Miravano alla borsa da cui il giornalista si staccava raramente e che ha messo in macchina. Quando più tardi hanno infranto, sotto la sua abitazione, il vetro potevano prelevare alcuni oggetti di valore che erano rimasti nell’auto, perfino la fede nuziale, invece hanno preso soltanto la borsa con il computer e alcuni documenti cartacei, poi hanno rotto il parabrezza come ulteriore segno di sfregio e sfida. Sicuramente volevano quel pc e quelle carte ma avranno immaginato che dei documenti potevano esserci copie (come ci sono) altrove, eppure hanno compiuto ugualmente il furto perché doveva essere chiaro che questo è l’ultimo avviso, non essendo bastati i due precedenti e i segnali di attenzione che Inserra ha avvertito negli ultimi mesi, soprattutto la sensazione crescente di essere pedinato. Già prima a Siderno, dove ha retto per qualche anno l’ufficio di corrispondenza del Quotidiano, e soprattutto a Reggio da quando ne dirige la redazione, Inserra ha svolto un lavoro instancabile e implacabile. Negli ultimi mesi quest’opera è diventata particolarmente difficile e pericolosa come devono aver capito i lettori ai quali con ormai centinaia di pagine del giornale viene raccontato il perverso intreccio tra mafia e politica. Uno dei personaggi più “colpiti” recentemente ha dovuto ammettere: «Alzo le braccia perché devo riconoscere che lei ne ha per tutti». Destra, centro e sinistra. C’è il bacio del presunto boss della ‘ndrangheta Lampada con l’assessore regionale Luigi Fedele del Pdl, ci sono esponenti del Pd e del Pdl , magistrati, avvocati e ancora consiglieri regionali come Franco Morelli. Ci sono gli articoli sul dirigente del Pd, Demeterio Naccari Carlizzi, sulla sua cena con Lampada ma soprattutto sull’inchiesta che lo vede indagato per reati molto gravi insieme ad altre undici persone per un concorso vinto dalla moglie. Insomma un giornalista che non sta con i guelfi o con i ghibellini che si combattono tra loro a Reggio, ma che ha le notizie e le scrive senza badare alla collocazione politica o sociale di chi ne è protagonista. E ne riceve o raccoglie di nuove in continuazione perché si sa che non le gestisce bensì le pubblica. Nero su bianco, ogni giorno. E così per tanti è diventato un nemico, una voce scomoda che non può essere inquadrata nel pantano melmoso di quella città. Parlandone con fidati uomini degli apparati dello Stato, avevamo avuto conferma che il clima attorno a Inserra si stava facendo pesante. Tant’è che due mesi fa, d’accordo con l’editore e con lui, avevamo previsto, per tutelarlo, un suo trasferimento in un ruolo ovviamente adeguato alla sua professionalità in altro ambito del gruppo editoriale. Trattative per cercare un suo sostituto erano state avviate con tre giornalisti siciliani. Poi è stato Inserra a chiederci di restare a Reggio perché non gli andava di mollare, non lo riteneva giusto, sapeva che a Reggio c’è tanto da fare. E così quel progetto è stato archiviato. Ma per dargli qualche protezione ulteriore, oltre ad aver avuto l’assicurazione di una vigilanza particolare dagli apparati dello Stato, l’immensa mole di materiale in suo possesso è stata distribuita tra diversi colleghi del giornale, che con entusiasmo si sono fatti avanti per dargli una mano e soprattutto per far capire a chi avesse cattive intenzioni che l’informazione che garantisce Inserra è quella che offre tutto il Quotidiano: nessuno si sogni che colpendo, intimidendo, avvertendo uno di noi possa mettere a tacere un giornale. E voi lettori avete visto in questi mesi che sotto quel titolino ripetuto quasi tutti i giorni, “Mafia e politica”, avete trovato tante firme diverse. Evidentemente questo non è servito ed ecco perché lo strano furto di domenica notte non ci ha sorpreso. Hanno alzato il tiro in una Reggio Calabria che è ripiegata su se stessa, dove si teorizza che tutto il male sia da una parte e che in quella opposta ci sia l’eden, e viceversa. Guelfi e ghibellini, e tutti gli altri a guardare. Al massimo firmano manifesti, tanto una firma non si nega a nessuno. Ma intanto la città va alla deriva soffocata dai miasmi di accuse, sospetti, veleni, arresti, fatti, numeri, in attesa di decisioni che devono venire da Roma. Si vedrà tra qualche giorno quale sarà il verdetto del Viminale sulla sorte del consiglio comunale, ma forse già questa attesa e il suo manifestarsi sono una sentenza pesantissima sulla vita cittadina. Oggi sono esattamente due anni dall’imponente manifestazione dei quarantamila contro la ‘ndrangheta che organizzò il nostro giornale a Reggio. Il ricordo del volto pulito di migliaia di ragazzi e ragazze che gridavano il loro no all’illegalità e al malaffare per chiedere la restituzione non solo del futuro ma soprattutto del presente, è indelebile. Certo, non era tutta brava gente quella che marciò quel giorno e fece bene chi issò uno striscione eloquente, “La ‘ndrangheta è viva e marcia insieme a noi. Purtroppo”, perché sottolineò il problema dei problemi, vale a dire l’esistenza di quell’area grigia, della terra di confine dove si annida il pericolo più grande per la società perché è la ‘ndrangheta che non si vede e che comanda nelle istituzioni e nei centri di potere. Da quello straordinario evento è scaturito essenzialmente un impegno dello Stato, allora sotto attacco, che ha portato a segno colpi tremendi nella lotta alla criminalità organizzata e ai colletti bianchi che le sono contigui o integrati. Più volte in questi anni ci è stato chiesto di replicare quella manifestazione anche se con forme e dinamiche diverse. Non era compito di un giornale sostituirsi ad altri soggetti (i partiti, i sindacati, le associazioni, i cittadini), e forse sarebbe stato anche un errore immaginare di poter surrogare la loro funzione in ragione della loro latitanza: un giornale non è un partito o un movimento, sebbene la tentazione ogni tanto serpeggi da qualche parte. Sono i cittadini, quelli di buona volontà (tanti? molti? pochi?), che devono riprendere nelle proprie mani il destino della loro terra e cercare di consegnarla ai figli diversa da com’è ora, soffocata, come si vede, da una morsa asfissiante. Ma è indispensabile un grande impegno dello Stato che deve sradicare la mala pianta con scelte incisive e irreversibili. La Calabria non è il punto più negativo del paese. La nazione è infetta, Roma è ladrona, Milano non è da meno, la Sicilia non sta a guardare, la crisi morale è dilagante in ogni angolo della nazione e non si vede un faro di luce all’orizzonte. Consolarsi per questo male comune? Sarebbe un errore perché qui la malattia è antica e profonda. E chi propone di nasconderla sotto lo zerbino è il primo, più grande nemico, perché lavora per rendere irrecuperabile la rinascita della Calabria. Ragazze e ragazzi, non credetegli, scendete in campo, prendete in mano il destino della vostra terra, mandate a casa quelli che hanno ucciso il vostro presente e la speranza di futuro. Come? Vedete voi, da qualche parte bisogna cominciare. 

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