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IL Governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, non perde occasione per dire che «molto presto dirà chi sono i veri nemici di Reggio Calabria». È una frase che ormai ripete in ogni occasione pubblica. L’ultima in ordine di tempo durante il saluto portato all’apertura di Legalitalia, la manifestazione che si è chiusa sabato a Reggio Calabria. Detta così quella frase – che ha il sapore delle certezza – alla vigilia di una decisione che potrebbe travolgere la politica reggina degli ultimi anni, appare ai più un azzardo. Ma evidentemente lui sa, o meglio è convinto, di qualcosa che è ancora non noto ai cittadini. 

Quando Scopelliti parla di «verità sui nemici di Reggio» certamente non si riferisce al procedimento penale che lo vede imputato sul noto “caso Fallara”. Quella verità è ormai affidata ai giudici che dovranno giudicarlo nel processo che prenderà il via in autunno. Il riferimento è evidentemente all’esito della commissione d’accesso del Ministero dell’Interno che ha appena consegnato il suo parere sul rischio di infiltrazioni mafiose a Palazzo San Giorgio. Di questo parla Scopelliti nei suoi interventi allusivi. Partiamo dalla relazione della Commissione e sui suoi possibili esiti. Le possibilità in apparenza sono due. E va sottolineato che si tratta di apparenza. 

La prima ipotesi è quella secondo cui nella relazione si afferma che Reggio Calabria non corre il rischio di essere infiltrata dalla ‘ndrangheta. Che è tutto in ordine, che i clan non hanno mai tratto vantaggi dalla cosa pubblica e che quando ci hanno provato si sono scontrati contro un muro di legalità. Una strada che non appare credibile, anche a voler giudicare soltanto i fatti noti (come ad esempio la già acclarata infiltrazione della Multiservizi). Ma non escludiamo nulla. In un caso del genere Scopelliti ne uscirebbe da gigante sul piano politico. E potrebbe dire a ragion veduta che il polverone alzato dalle opposizioni è stato un vergognoso atto contro la città (i famosi nemici). Sul piano politico si aprirebbe uno scontro violentissimo dal quale l’ex sindaco uscirebbe comunque vincitore. 

C’è poi una seconda ipotesi. Mettiamo che i Commissari del Ministero abbiano scritto che Palazzo San Giorgio sta attraversando un momento in cui il rischio di infiltrazioni mafiose non è solo reale, ma addirittura in atto. La cosa non stupirebbe nessuno, e il passaggio successivo sarebbe quello con il quale il Prefetto di Reggio Calabria, Vittorio Piscitelli, chiederebbe al Ministro degli Interni di rimuovere le cause del rischio o addirittura dell’infiltrazione in corso. Si andrebbe cioè verso lo scioglimento dell’Amministrazione comunale e l’arrivo dei commissari. Inutile dire che dal punto di vista politico Scopelliti, e comunque il centrodestra cittadino, sarebbe travolto dall’onta con danni d’immagine difficilissimi da rimediare. Per ora, anche alla luce delle indiscrezioni sulla Relazione dei tre commissari del Ministero, questa appare l’ipotesi più realistica. Ma allora perché Scopelliti continua a dire quella frase? Perché afferma che «presto la città saprà chi sono i suoi nemici?». 

Evidentemente esiste una via d’uscita, che non comprende la prima (obiettivamente poco credibile), né la seconda (una iattura per l’attuale sindaco Demetrio Arena e per il suo padrino politico Scopelliti). Una terza via dunque, che a ben vedere è visibile nella legge che regola gli scioglimenti della pubblica amministrazione a rischio di infiltrazione mafiosa. L’articolo 143 (comma 5) 267/2000 prevede infatti: «Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 (cioè collegamenti o condizionamenti da parte della criminalità organizzata) con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell’ente locale, con decreto del ministro dell’Interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente». 

Detto in parole povere si tratta di un commissariamento parziale. Il ministero può cioè accertare il rischio o l’infiltrazione mafiosa, ma decidere che ciò non è legato alla rappresentanza politica, ma alla presenza di una classe dirigente “malata” a prescindere dalle responsabilità politiche che passerebbero in secondo o forse terzo piano. Sarebbe una terza via praticabile, anche se le vicende giudiziarie di alcuni consiglieri comunali (vedi l’arresto di Giuseppe Plutino) non la rendono facile da percorrere. In questo caso il risultato sarebbe quello annunciato da Scopelliti. La città avrebbe i suoi nemici individuabili nella stessa classe dirigente, ma non solo. Non va dimenticato che Scopelliti ad un certo punto della sua sindacatura attivò o tentò di attivare il meccanismo della rotazione dei dirigenti. Un’operazione che si scontrò con l’opposizione del sindacato e della minoranza di centrosinistra in Consiglio comunale. Tra l’altro alcuni dirigenti vinsero anche i ricorsi davanti al tribunale del lavoro. Basta pensare questo e l’asse è evidente. I nemici della città sono «i dirigenti “mafiosi” e l’opposizione che li difese». In soldoni ossigeno puro per Scopelliti e i suoi, che ne uscirebbero con qualche acciaccatura, ma tutto sommato interi e più combattivi che mai. 

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