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CHE si debba mobilitare la Protezione civile per monitorare i depuratori ed eventualmente esautorare i loro responsabili è un bene e un male. E’ un bene perché si fa qualcosa, è un male perché si dimostra che il tempo trascorre inutilmente. Questa storia del mare sporco è una disgrazia senza fine per questa regione, e non c’è mai limite al peggio. Finora il fallimento è generale.
Iniziò un magistrato che mise sotto accusa l’intero sistema dando un colpo micidiale al governo regionale di centrodestra retto da Chiaravalloti: ora lui, Luigi De Magistris, fa il sindaco di Napoli e i calabresi, che si dividono nel ricordo tra chi lo ama e chi lo detesta, si tengono il mare sporco e i depuratori che non funzionano.
Chi venne dopo, Agazio Loiero, iniziò con una mossa clamorosa: chiese scusa sul Corriere della Sera agli italiani, e ovviamente ai calabresi, per il mare sporco e assunse solennemente l’impegno di ripulirlo nell’arco della sua presidenza. Mal gliene incolse. Tentò di correre ai ripari quando, dopo un nostro editoriale del mese di luglio 2008 nel quale, partendo dalle condizioni catastrofiche del mare, proponevamo di creare un assessorato deputato solo a questa materia, in pochi giorni nominò il massimo esperto calabrese del campo, Silvio Greco, assessore al mare: era l’11 agosto. Greco, che non poteva da un giorno all’altro fare il miracolo, si dedicò con grande energia alla sua difficile impresa. Forse qualche risultato sarebbe stato raggiunto se il suo programma si fosse sviluppato e non interrotto con il cambio della guardia alla Regione. Individuò nei depuratori la causa principale, non la sola, del disastro e predispose un piano mirato. In ogni caso Loiero lasciò in eredità al suo successore il problema sul quale troppo ottimisticamente se non incautamente si era avventurato cinque anni prima in scuse comprensibili e in promesse, sebbene non volute, da marinaio.
Poi è venuto Scopelliti, che, piuttosto che proseguire l’azione appena avviata, ha deciso, sciaguratamente, di ricominciare tutto da capo. Con quali risultati? Un anno fa di fronte ad un mare che nel Tirreno Cosentino spesso sembrava una cloaca e non diversamente appariva in luoghi mitici del turismo calabrese come la costa di Tropea, calò dall’alto in elicottero a dare sostegno ai suoi referenti politici di Paola, dove addirittura era in corso un sabotaggio del nostro giornale reo di aver descritto con parole e immagini lo stato pietoso di quel mare e dove contro di noi si tenne addirittura un consiglio comunale; subito dopo annunciò un piano di finanziamenti ai comuni. Di recente il Governatore ha scoperto che i comuni non sono attrezzati per garantire il funzionamento dei depuratori e, quindi, spendere quei soldi, tant’è che nel forum tenuto qualche settimana fa nella nostra redazione ha rivolto lo sguardo al cielo nella speranza di un miracolo. Che non poteva esserci e infatti non c’è. Con il rischio di un balletto di responsabilità di cui sinceramente la Calabria non ha bisogno.
E’ ormai convinzione – qualche magistrato ha anche avviato indagini al riguardo – che i primi responsabili del mare sporco sono le strutture che dovrebbero garantirne l’integrità: i depuratori. Un paradosso che non sappiamo in quale altro luogo poteva capitare. La decisione di Scopelliti di far scendere in campo per monitorare il funzionamento dei depuratori, per ora nella zona di Tropea e Capo Vaticano, il responsabile della Protezione civile, che potrebbe anche essere chiamato a funzioni sostitutive dei soggetti inadempienti, è sicuramente una mossa giusta ma, come dicevamo, è la prova del tempo perso. Arriva, questa iniziativa, all’inizio di luglio, si potrebbe dire quando i buoi sono già scappati dalla stalla. Poi si continuerà a discettare se il mare sia sporco (deliberatamente usiamo questo aggettivo) o inquinato. Certo, la differenza è rilevante, ma che cambia se uno deve bagnarsi in acque variamente colorate dove alla schiumetta bianca fa concorrenza lo strato marroncino-cacca? Sono settimane che raccogliamo testimonianze e immagini nauseanti. Meno male che la Calabria, un eden in terra deturpato dai suoi abitanti, ha anche la montagna che sarà un po’ difficile inquinare: una settimana fa sul Pollino abbiamo incontrato un numeroso gruppo di calabresi con casa a Cittadella da dove il giorno prima erano scappati per lo schifo del mare una volta da bere.
Ribolle il sangue dover raccontare queste cose. E non ci si venga a dire che parlandone facciamo il male della Calabria spingendo i turisti a fuggire. Se scappano la colpa è del mare che hanno trovato. E soprattutto non si dica come al solito: ma perché non ne avete parlato durante l’inverno quando era opportuno e giusto operare per evitare i guai estivi? Voi lettori sapete che dal settembre dell’anno scorso e per tutto l’inverno e la primavera, abbiamo dedicato uno spazio spropositato al mare: abbiamo fatto i titoli di apertura di prima pagina addirittura a dicembre e gennaio, decine e decine di pagine sono state dedicate alla materia criticando, sollecitando, proponendo. Semmai ci verrebbe voglia di chiedere ai gestori dei lidi di Paola (eccetto uno) che l’anno scorso proibirono la vendita del Quotidiano, che cosa hanno fatto in questi mesi per assicurarsi che il loro prodotto fondamentale da offrire ai clienti, il mare, non fosse nelle condizioni che si vedono. Ma lasciamo correre e pensiamo al da fare.
Certo, ben vengano tutte le iniziative anche in queste settimane, compresa quella estrema della Protezione civile, ma di grazia quando si creerà davvero la task force interistituzionale che operi su tutti i fronti (anche i controlli criminosi sugli scarichi abusivi) 365 giorni l’anno a partire da subito? Si faccia una grande conferenza sul mare, nella quale, partendo da un’analisi corretta e completa dei problemi, si predisponga un piano di azione coerente e risolutivo, con adeguate forme di controllo e relative sanzioni, che impegni tutti i soggetti a compiere la parte che loro spetta. E la si finisca con questa storia delle responsabilità che sono sempre degli altri o di chi c’era prima. Il fallimento è ecumenico, nessuno si può chiamare fuori e soprattutto in questo caso non si può scaricare la colpa su Roma che non pensa alla Calabria. Verrebbe da dire: chissà che non sarebbe stato meglio se ci fosse stata un po’ di autonomia in meno per i governi locali.
In conclusione che dire? Speriamo anche noi nel miracolo. Ma, detto fuor dai denti, ci piacerebbe anche vedere in galera qualcuno che invece di fare il proprio dovere danneggia irresponsabilmente la collettività sottraendole un bene naturale. Se un depuratore inquina qualcuno deve risponderne. O no? Ciò detto, auguriamoci che una mano ce la diano le correnti marine rimuovendo il meno possibile lo sporco che è stabilmente adagiato sul fondo e, quando serve, mandando il più lontano possibile quello che viene a galla. Purtroppo, a questo siamo ridotti.
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