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DEL caso Annarosa Macrì abbiamo scritto due domeniche fa. Ricordate? La giornalista della Rai, una firma apprezzata anche dai lettori di questo giornale, dopo aver subito la richiesta di un provvedimento disciplinare poi archiviato, si è vista negare l’autorizzazione a scrivere per il Quotidiano dal direttore generale della Rai senza alcuna spiegazione. Sul sito del sindacato regionale dei giornalisti, che solitamente dà conto anche dell’incidente stradale dell’ultimo cronista di Kathmandu, il fatto fu ignorato per l’intera giornata – era domenica -, e neanche l’interrogazione del deputato Franco Laratta, resa pubblica dall’Ansa nel primo pomeriggio, fu ritenuta una notizia degna di nota. Poi il lunedì mattina finalmente comparve in apertura del sito la notizia che, però, non era quella, ignorata, contenuta nell’editoriale del Quotidiano di ventiquattrore prima, bensì una risposta secca e liquidatoria a Annarosa Macrì: “Giornalisti: il contratto vieta le collaborazioni plurime”. Questo il titolo corredato da un occhiello chiarificatore: “Franco Abruzzo risponde all’interrogazione parlamentare di Franco Laratta (Pd) su Annarosa Macrì (Rai Calabria)”.
Che cosa era successo? Che Franco Abruzzo, calabrese, giornalista stimato in Italia e massimo esperto di normative sulla professione giornalistica, aveva ricordato che l’articolo 8 del contratto consente al direttore di un organo di informazione di negare ad un suo giornalista l’autorizzazione a collaborare con un altro giornale in deroga al diritto di esclusiva. Abruzzo, che non aveva letto l’editoriale del Quotidiano nel quale questo articolo del contratto era chiaramente ricordato, aveva risposto all’onorevole Laratta che, come da prassi, chiedeva nell’interrogazione al Governo, resa nota dall’Ansa, quali fossero i motivi della decisione del direttore generale della Rai. Ne è scaturito un fitto scambio di mail tra il sottoscritto e Franco Abruzzo che, infastidito dall’uso della sua dichiarazione, ha espresso pesanti giudizi che non riferisco per non violare la riservatezza della corrispondenza, e ha deciso di pubblicare integralmente il mio editoriale affinché cessasse la strumentalizzazione che era stata fatta del suo corretto intervento. Tutto questo nel silenzio dei comitati di redazione.
Questa lunga premessa serve a presentare il documento che pubblico di seguito e che è una lettera che Anna Rosa Macrì ha inviato due giorni fa al segretario del Sindacato regionale dei giornalisti, Carlo Parisi, e, per conoscenza, al presidente nazionale della Fnsi, Roberto Natale.
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Caro Segretario,
ho aspettato qualche giorno prima di scriverti, così la mia indignazione un po’ s’è sbollentata.
Ma non l’amarezza. Mai visto un sindacato, che decide di “scendere in campo” in una dolorosa vicenda che riguarda un suo iscritto, con tanta solerzia, peraltro non “petita”, per agitare come una clava un parere “tecnico” che praticamente dà torto ad un suo iscritto e, di conseguenza, ragione alla controparte.
Sono amareggiata e trasecolata. Credevo di avere problemi con la mia Azienda, non sospettavo di doverne affrontare degli altri con il Sindacato che mi rappresenta. O meglio, dovrebbe rappresentarmi.
Con queste premesse non varrebbe neanche la pena di entrare nel merito della vicenda, dolorosa, insisto, che mi vede protagonista e vittima.
Lo faccio per chiarire che dell’esistenza dell’art.8, sul quale legittimamente hai chiesto un parere asettico a un supertecnico, certamente non a conoscenza dei dettagli della questione (i dettagli, sai come si dice, sono del diavolo!) è ben a conoscenza il Direttore del Quotidiano Matteo Cosenza, che non è nato ieri: è lui per primo, infatti, a citarlo nel suo editoriale e a porlo alla base del ragionamento sul suo discutibile utilizzo da parte della Direttore di Testata.
Un sindacato, caro Segretario, dovrebbe occuparsi (e preoccuparsi) se questo art.8 viene adoperato come mezzo di censura o di discriminazione. Sennò, che ci sta a fare? Per farsi dire da un tecnico che l’art. 8 esiste? Sai che responso! La verità è che l’art.8 non è un totem né un tabù: è uno strumento che qualche volta non viene usato correttamente. E se è così un sindacato che si rispetti prova a fare il suo mestiere e cerca di andare a fondo.
Secondo me, caro Segretario, in questa storia hai perso una buona occasione, anzi due: quella di tacere, se, per qualunque motivo, tu fossi stato in disaccordo con me, che, in fondo, resto (?) sempre (?) uno dei tuoi iscritti. E un’altra: quella di chiamarmi al telefono, fare una civile chiacchierata e chiedermi lumi sui dettagli (che, ricordati, sono del diavolo!) di questa vicenda che, forse, ti sono sfuggiti.
1. E’ necessario che sia io a ricordare a te, che sei attento lettore dei giornali regionali che un autorevolissimo caporedattore della Tgr scrive regolarmente sullo stesso giornale al quale a me viene impedito di farlo?
2. E’ necessario che sia io a ricordare a te, che sei attento lettore dei giornali nazionali che sono moltissimi i giornalisti della Rai che ci scrivono come collaboratori?
3. E’ necessario che sia io a ricordare a te, che sei attento sindacalista, che la mia vicenda è oggetto in Commissione Paritetica di discussione tra la Rai e l’Usigrai, che, convenientemente, non si è appellato affatto all’art.8?
4. E’ necessario che sia io a ricordare a te, che sei attento difensore di diritti, che la parabola, ormai lunga quindici mesi del mio “imbavagliamento”, scusami non posso non chiamarlo così, ha toni, modi e tempi di una “persecutio ad personam”?
5. E’ necessario che sia io a ricordare a te, che sei cittadino e non suddito, che a nessuno può essere impedito un diritto (quello di esprimersi liberamente è regolato dall’art. 21 della Costituzione, assai più cogente, credo, dell’art. 8 del nostro contratto) senza che sia data alcuna motivazione?
Vorrei informarti che ho deciso di portare in Tribunale questa vicenda.
Immagino che vorrai esserci anche tu e testimoniare, caro Segretario, e non oso immaginare a favore di chi.
Ti auguro buon lavoro e ti ringrazio
Annarosa Macrì
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