5 minuti per la lettura
E giunse il giorno dell’addio. Giuseppe Pignatone se ne va. La notizia prevedibile, attesa, annunciata, appare in qualche modo sorprendente. E non è una contraddizione in termini, ma una conseguenza naturale di un suo radicamento profondo in una realtà apparentemente impermeabile, qual è la Calabria. Pochi procuratori della Repubblica hanno saputo lasciare un segno così forte, come ha fatto il compagno di lavoro di Falcone e Borsellino. E non solo nella Procura di Reggio Calabria o in ciascuna di quelle calabresi ma in tutta Italia. E per una persona apparentemente timida, discreta, di poche parole e tutte misurate, refrattaria ai riflettori e al proscenio dell’auto-celebrazione, non è cosa da poco. Pignatone, dunque, se ne va. Finalmente, dicono i mafiosi di ogni genere e quanti, finora rimasti indenni, sentivano già il suo fiato sul collo. Dispiace tanto, dicono, invece, i calabresi che guardano alla concreta possibilità di vedere liberata questa terra dalla cappa oppressiva di una criminalità grande. Organizzata, invadente e invasiva, corruttrice di coscienze e della politica, dell’economia e delle Istituzioni. Criminalità nuova e cangiante, moderna e sfuggente, violenta e diplomatica, rapinatrice e negoziatrice. Ambedue gli schieramenti, quelli del timore e quelli del rimpianto, partono sì dal diverso grado di simpatia verso la persona, ma anche dalla stessa lettura che fanno dei risultati raggiunti dalla Procura di Reggio Calabria sotto la sua direzione. Sono risultati straordinari che nessuno può mettere in discussione, sebbene da parti assai circoscritte si tenti, specialmente in questi giorni, di ridimensionarne la portata. I più importanti non sono di tipo squisitamente giudiziario, investigativo o repressivo, che facilmente si trovano nei numeri. Quelli dei latitanti scovati (una decina eccellenti e “introvabili”), dei numerosissimi adepti arrestati, ovvero nelle numerose condanne ottenute per quasi tutti loro dai Tribunali. Sono cifre enormi, che fanno girare la testa e la fanno alzare con orgoglio a quanti hanno lavorato insieme con Pignatone per anni, tutti gravati da rischi personali immani. Eppure, non sono questi a fare grande quel procuratore e speciale il suo team. Almeno, non lo sono in maniera esclusiva. Lo fanno maggiormente i risultati raggiunti sul terreno della sociologia criminale, dove la ’ndrangheta non aveva svelato tutti i suoi principali misteri. In particolare, quelli che l’hanno portata in pochi anni a diventare l’organizzazione di tipo mafioso più potente e intelligente del mondo. Anche la più ricca e violenta. La più militarmente strutturata. E la più politica, per la sua capacità di infiltrarsi nei gangli vitali delle Istituzioni, dei partiti e dell’imprenditoria. E capace anche di uscire dai confini regionali e piantarsi con forza nelle regioni forti del Nord, dove l’economia veicola denaro vero, che ben si mischia a quello nero. Da ripulire e riciclare, per moltiplicarsi nel sistema economico nazionale e internazionale.
Cosa dice di veramente nuovo Pignatone? Tre cose principali. La prima: la ’ndrangheta, quella nuova, è una organizzazione unitaria, forte e coesa. E impenetrabile, perché non ha bisogno di un capo dei capi, ma temporaneamente solo di una figura di mediazione. Di raccordo, di garanzia, a custodia anche delle regole che valgono per tutti, locali, famiglie, mandamenti e quant’altro. Paradossalmente, proprio un vertice senza potere di comando assoluto e senza una figura aggressiva e sanguinaria garantisce la pax mafiosa e la tranquillità nella paziente, lunga, prudente mediazione interna. Dice Pignatone che i tentacoli con cui si rappresentava l’immagine antica della ’ndrangheta hanno raggiunto Milano e dintorni, realizzando una forza di imponenti dimensioni, proprio per i motivi sopra esposti. Secondo: esiste in Calabria quella ormai famosa zona grigia di cui in passato non si è mai parlato, neppure sotto voce. Essa si caratterizza per il legame stretto tra organizzazioni criminali e livelli decisionali della Pubblica amministrazione e dell’economia reale. E per il rapporto ancora più stretto con la politica, attraverso la manipolazione di parte del consenso elettorale e la diretta infiltrazione nei partiti e quindi nelle liste elettorali, con uomini in blazer blu e tanto di laurea sulle spalle. Senza questo rapporto, la ’ndrangheta avrebbe meno forza e meno capacità di controllo del territorio, dove ama essere riconosciuta quale forza sostitutiva di una politica che in alcune realtà già da tempo ha perso credibilità ed autorevolezza. Terzo: le indagini condotte – e qui sta l’altra novità – in piena collaborazione con la Procura di Milano hanno iniziato a penetrare questa zona in passato blindata, seppur con lievi sussurri chiacchierata. Tra il primo terreno e questo, quel che appare è uno scarto considerevole di risultati che ai maliziosi lascerebbe immaginare una certa timidezza nell’azione di contrasto alla zona grigia. La strategia finora conosciuta esclude invece timidezze e introduce una tecnica che appare chiara nel metodo Pignatone: la prudenza. Il nuovo procuratore di Roma, a differenza di altri magistrati resisi popolari con indagini eclatanti ma velleitarie, sa che un conto è la teoria e l’intelligente intuizione, altra è scoprire reati difficili provando documentalmente gli intrecci tra politica e malaffare e questi con la ’ndrangheta. Gli infedeli delle Istituzioni e i corrotti della politica operano con intelligenza, si sanno guardare, e sanno trovare in più parti e a più livelli quelle coperture necessarie per far saltare un’inchiesta importante. Cosa che da una parte crea un’area di vasta impunità, che continua a operare nel malaffare e nella mala politica, e dall’altra un clima di delegittimazione dell’attività della Magistratura, con annessa sfiducia da parte della gente. Più avanti si vedranno i risultati di questa strategia, se chi si insedierà a capo della Procura di Reggio saprà continuare il lavoro lasciato aperto da Pignatone. Se saprà soprattutto leggere le carte che certamente troverà nel cassetto e i segnali che da più parti muovono dall’interno della zona grigia. Se saprà capire che la criminalità non sarà mai debellata del tutto senza che sia stato definitivamente reciso il suo legame con i poteri e con la politica, e se quest’ultima non avrà espulso quanti la usano per conto di terzi e contro la democrazia. Anche per questo, la Calabria, ora che il treno dell’ex procuratore è già arrivato a Roma, deve dire un Grazie grande quanto i due mari che la bagnano. A Giuseppe Pignatone, che dalla sua Sicilia, a tappe ininterrotte, ha camminato sul sentiero di Garibaldi. Per consegnare la Calabria all’Italia. L’Italia davvero unita. Finalmente.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA