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Terremoti in Calabria sempre più frequenti negli ultimi giorni ma pare che sul sisma ci sia scarsa consapevolezza; parla il geologo Fabio Scarciglia
Che si parli di una delle regioni più sismiche d’Italia è ormai risaputo. Ma il terremoto di magnitudo 5 che nella serata del primo agosto ha scosso la Calabria, solleva alcuni quesiti, in merito, soprattutto, al grado di preparazione territoriale nell’affrontare eventuali fenomeni che, come dice Fabio Scarciglia, professore del dipartimento di Biologia, ecologia e scienze della Terra (Dibest) dell’Università della Calabria, in una sorta di corso e ricorso storico «potrebbero potenzialmente ripresentarsi».
Professore, partiamo dal sisma di Pietrapaola.
«Guardi, ci sono una serie di studi e articoli scientifici in merito a quell’area. Proprio stamattina ho ricevuto i risultati di un sopralluogo che alcuni colleghi esperti in strutture tettoniche sismiche, con il professore Francesco Muto, sempre del nostro dipartimento, hanno condotto in una zona un po’ più vasta attorno all’epicentro del terremoto. L’Ingv ha anche pubblicato il report sul meccanismo focale di tipo trascorrente sinistro, che riguarda il movimento delle faglie: è singolare notare come, in un lavoro abbastanza recente, un terremoto del 1836 di magnitudo 6.2 era stato attribuito a questa stessa struttura. È un’ evidenza di quanto i terremoti siano storici. E ciò vuol dire che queste faglie potrebbero generare terremoti anche in futuro. C’è una particolare caratterizzazione geologica, stratigrafica a cavallo delle province di Crotone e Cosenza, e, per capirci, Carfizzi, Mandatoriccio, Pietrapaola fanno parte di questa fascia, che è una fascia di faglia».
Ma se conosciamo dove sono le faglie, non si può intervenire in quei punti in maniera preventiva?
«Allora, associando le faglie che si sono mosse in occasione di terremoti storici documentati, mettendo insieme lo studio archivistico, storico con quello Paleosismologico, si è notato come effettivamente alcune di queste si sono mosse a distanza di un certo periodo di tempo. Per esempio, abbiamo una data, quella del 1783: parliamo di un sisma che ha attraversato tutta la Calabria centro-meridionale, da Lamezia, fino allo Stretto di Messina e l’eco di quel terremoto così devastante, arrivò fino a Napoli, dove re Ferdinando IV, colpito dall’accaduto, decise di inviare quella che oggi chiameremo una “task force” fatta da esperti che furono incaricati di fotografare, disegnando in maniera accurata, gli sconvolgimenti del paesaggio, le fratture radiali, concentriche e così via. Abbiamo delle date.
E se noi facciamo un’analisi statistica del tempo di ricorrenza di eventi sismici di una certa intensità, riusciamo a stimare che alcuni di questi possono verificarsi più o meno nell’ordine di un secolo, un secolo e mezzo. Ma il discorso della prevenzione qual è? In Italia non c’è questa sensibilità: si pensa sempre e soltanto alla gestione dell’emergenza.
Noi geologi, insieme alla Protezione Civile, diamo indicazioni fino a che possiamo. Quello che manca però è credere che costruire in modo antisismico sia possibile. E dovremmo iniziare a farlo veramente. Il Giappone ha una sismicità maggiore di quella italiana e il terremoto storico di metà anni ‘90, fu un’occasione per invertire la rotta in tal senso. Adesso c’è anche una sperimentazione moderna che va a sfruttare il principio del pendolo, ci sono i cosiddetti isolatori elastometrici, che sono delle molle da porre nella parte basale degli edifici: assorbono l’oscillazione del terreno e questo barcolla senza rompersi. La cultura del cemento armato è buona, ma insufficiente».
Quindi data la sua complessa struttura geologica la Calabria è attualmente impreparata?
«Diciamo che siamo vicino all’impreparazione, anche perché c’è una scarsa consapevolezza. Molti sanno che la Calabria è altamente sismica, ma non percepiscono la potenzialità che un evento sismico, anche importante, possa verificarsi a scala umana. Noi speriamo di no, però potenzialmente potrebbe accadere. Non è possibile prevedere esattamente quando. La Calabria si trova in una posizione scomoda tra la famosa placca africana e la placca euroasiatica e tra l’altro ha una struttura geologica ad arco: raccoglie delle energie elevate legate al movimento delle placche. E i terremoti più recenti, come quello dell’Aquila, hanno poi dimostrato che anche gli edifici relativamente nuovi collassano, perché non vengono realizzati in modo sufficientemente adeguato.
È stata anche aggiornata la normativa tecnica, ma andrebbe sempre più applicata e noi, in Italia, siamo lenti anche nell’applicare le norme già vigenti. Possiamo parlare anche del vecchio sisma bonus, il 110% e le sue variazioni: quasi tutte hanno pensato soltanto all’efficientamento energetico che, per carità, è una cosa buona. Però quasi nessuno ha avuto l’idea di rendere antisismica una struttura inadeguata, magari costruita prima della nuova normativa».
Secondo lei siamo, almeno teoricamente, in scadenza?
«Sì, teoricamente sì, in alcune aree. Poi ovviamente ci sono i terremoti di magnitudo più intensa che per riproporsi impiegano tempi più lunghi, anche magari di molte centinaia di anni. La speranza è questa, ma non è una speranza fondata. Alcuni dati potrebbero farci pensare che la nostra generazione o una di quelle future potrebbe assistere ad eventi importanti. Non voglio fare il catastrofista, anzi, vorrei fare il contrario: partire da questa base di conoscenza e invitare i politici, tutti gli attori e anche i cittadini a sensibilizzarsi.
È chiaro che mettere in sicurezza un edificio o costruire un edificio a norma antisismica costa di più, ma è un investimento per la vita. Colleghi geologi, insieme ad economisti, alcuni anni fa, hanno dimostrato che solo negli ultimi circa cento anni le spese per le ricostruzioni – tra l’altro non sempre completate – sono state di molto superiori a quello che un piano pensato o programmato diluendo quegli stessi importi, avrebbe comportato, contribuendo in più a salvare tante vite umane. Dovremmo credere di più in questa cultura della prevenzione. Ma, purtroppo, siamo sempre portati a pensare “no, vabbè, io qua ormai ci vivo da 60 anni, 80 anni, non è mai successo niente: e comunque se accade, tranquillo che accade sempre da qualche altra parte”».
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