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di SAVERIA GIGLIOTTI
LAMEZIA TERME (CATANZARO) – «Davanti al paziente non hai paura perché hai davanti una persona sofferente e non pensi a nessun’altra cosa». A parlare, dall’altra parte del telefono, è Alessandra Scarselletti, infermiera lametina che dal 10 marzo si trova a Verres, in provincia di Aosta.
Quarantasette anni, madre di due figlie – una di 20 ed un’altra di 10 – dopo 21 anni in pronto soccorso all’ospedale di Lamezia Terme, da un anno presta servizio all’ambulatorio cardiologico della stessa struttura ed è stata tra i primi, a marzo, a rispondere all’appello della Protezione civile. Non ci ha pensato molto perché, dice, «non potevo stare con le mani in mano, mentre al nord Italia c’era bisogno di aiuto». Quindi, invia la mail con cui offre la sua disponibilità senza dire niente in famiglia fino a quando, il 10 marzo, parte alla volta di Roma.
Qualche lacrima, anche di familiari ed amici, ma c’è la consapevolezza che esistono scelte che devono essere fatte. Giunta a Roma, dopo il tampone – con esito negativo – la comunicazione della destinazione: Verres in Valle d’Aosta all’interno di una micro comunità dove ci sono tanti anziani, tra cui 19 positivi al Covid. «È una valle bellissima – dice Alessandra commossa – ma posso goderla solo per pochi minuti, prima e dopo il turno, perché anche noi dobbiamo rispettare la quarantena».
È dal 10 marzo che la sua vita è cambiata ma nonostante la stanchezza, l’ansia ed un po’ di malinconia, quando parla della sua famiglia, rifarebbe la scelta. «Ho conosciuto colleghi da ogni parte d’Italia. Qui di calabrese, come nello scaglione di cui faccio parte, ci sono solo io», racconta con una voce che non nasconde la stanchezza di questi giorni suddivisi in turni di otto ore che si aprono con il “rituale” della vestizione e si concludono con quello della svestizione.
Ed è questa ultima che, spiega Alessandra, «mette ansia perché devi evitare che le parti “sporche” tocchino quelle pulite. Sudi tantissimo perché sei vestita a strati: prima indossi la divisa e poi inizi a mettere i vari indumenti che ti servono per proteggerti». Finita la vestizione si va in corsia ed è qui che i suoi splendidi occhi azzurri incontrano quelli degli anziani ospiti della struttura. Occhi che parlano e raccontano storie. Quelle storie che, ora, stanno lentamente scomparendo.
«Come fai a non pensare che sono persone? – dice commuovendosi – Come fai a non guardarli e cercare di dare loro conforto anche quando ti chiedono “ma quando muoio?”». In questa battaglia, però, Alessandra non si sente sola: «Sono tanti gli amici che mi stanno accanto con messaggi e telefonate. Mi fanno sentire tutto il loro affetto e di questo voglio ringraziarli». (ANSA).
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