Il cantautore Domenico Barreca
4 minuti per la lettura“EPPURE adesso suono” è il nuovo album di Barreca, il sorprendente cantautore calabrese, nuovo volto della più classica musica d’autore italiana. “Scirocco”, il primo brano estratto, è già in rotazione sui maggiori network radiofonici. Un album composto da dieci canzoni, dieci narrazioni che sembrano episodi distanti ma che hanno come filo conduttore la voglia di essere raccontati adesso, come dice il titolo dell’album. E vogliono essere raccontati a qualcun altro. Dopo la buona affermazione del primo album “Dall’altra parte del giorno” il giovane cantante di Taurianova è pronto a scalare le classifiche e a raggiungere nuovi traguardi.
Domenico Barreca, classe 1986, una tesi sulla scuola del cantautorato genovese, premi e collaborazioni. Come nasce il cantautore Barreca e dove vuole arrivare?
«Nasce da un’esigenza, un aspetto che per me è stato sempre fondamentale: fare musica, cantare, interpretare per tirare fuori quello che sono. Con la musica si può esprimere il tormento di un’anima, fragilità che possono diventare punti di forza, e anche momenti di leggerezza. Ma sempre con l’obiettivo di fare musica non per apparire o per il gusto di esibirmi in virtuosismi; io lo faccio per raccontare e per esplorarmi, e grazie a questi due album sto scoprendo e riscoprendo molte cose di me stesso. Inoltre penso che fare musica sia come aprire una finestra sul mondo degli altri e raccontare ciò che si vede. Finché avrò questi stimoli e queste esigenze, continuerò a fare quello che amo».
Come diceva Caparezza “il secondo album è sempre il più difficile per la carriera di un artista”. Qual è stata la genesi di Eppure Adesso Suono e quanta fatica ti è costata?
«Questa è una frase che mi ripetevo spesso quando abbiamo messo in cantiere questo album abbastanza complesso, registrato insieme a tanti musicisti in pochi mesi proprio perché avvertivamo l’esigenza di farlo sentire al mondo intero. Questo secondo album nasce esattamente da dove finisce il primo, che si chiudeva con la frase emblematica “che poi domani forse ritorno”. Oggi non solo sono tornato, ma l’ho fatto con maggiore consapevolezza e serenità dopo aver fatto i conti con tutte le fragilità e i silenzi che di cui mi circondavo. Dal punto di vista musicale poi abbiamo osato, unendo una linea sonora etnica che richiama tutte le parti del mondo alla comfort zone che per me è rappresentata dalla musica d’autore e dallo stile cantautoriale. Un intreccio che sembrava difficile ma che è riuscito perfettamente, a dimostrazione del fatto che linee e confini solo sterili invenzioni di chi ha la mente chiusa».
Qual è il fil rouge di Eppure Adesso Suono?
«Direi che è un’osservazione durata un anno, ovvero il tempo passato dall’uscita del mio primo album e le impressioni che ne ho ricavato dalla gente che lo ha ascoltato. All’inizio con timore, non sapendo cosa dovessi attendermi, poi con meraviglia e voglia di continuare. Ho capito che raccontarmi era un buon modo per mettermi in connessione con gli altri, così ho continuato ed è nato Eppure Adesso Suono».
In “Che Fortuna!” duetti di nuovo con il calabresissimo Peppe Voltarelli, mentre in “Ma anche d’amore” al tuo fianco c’è Mauro Ermanno Giovanardi dei La Crus. Come diceva una canzone dell’indimenticato Herbert Pagani amicizia vuol dire andare insieme nella stessa direzione. Cosa ti hanno lasciato questi due artisti che a modo loro sono iconici?
«Io considero Peppe Voltarelli un patrimonio della canzone italiana a livello mondiale, sono pochi gli artisti come lui che fanno tremare i palchi quando si esibiscono. Abbiamo condiviso insieme una tappa del mio tour lo scorso anno, e da lì è iniziata la nostra collaborazione. Mauro è forse la più bella voce che abbiamo nel panorama italiano, e i La Crus sono uno dei miei gruppi preferiti di sempre. Abbiamo fatto un concerto insieme ed è nata una bella amicizia, che ci ha portato a lavorare insieme con naturalezza, come se ci conoscessimo da sempre».
Nei tuoi pezzi la varietà di strumenti musicali è ampia, dall’ukulele alle sonorità arabe l’ascoltatore può affrontare un viaggio musicale più che mai variegato. Quanto è importante per te la composizione?
«Per questo album abbiamo scelto di esplorare diverse sonorità del mondo, dai ritmi africani alla musica balcanica passando per la fisarmonica francese e il folk italiano. E in ogni brano la scelta musicale non è stata casuale né studiata appositamente per fare scena, ma si tratta di creare una linea compositiva che rappresenti un viaggio ideale, un’esplorazione musicale».
Domanda finale da un milione di dollari. Di chi è l’erede musicale Barreca?
«Non parlerei di eredità musicale ma di voglia di entrare a far parte di quella cerchia di artisti che hanno qualcosa da dire e portano avanti la loro musica con grande dignità in un modo sempre più svuotato di contenuti. Mi vengono in mente artisti come Fabi, Gazzè, Carmen Consoli, i quali continuano ad andare avanti e a maturare sempre di più mantenendo la loro autenticità. Ecco, io non vorrei essere erede di nessuno, ma poter contare sempre sull’autenticità».
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