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Il Rettore dell'Unical Nicola Leone

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Primato dell’Unical nella classifica del Censis; l’intervista al Rettore Nicola Leone: “Siamo un esempio di ascensore sociale”


È UN bel giorno ad Arcavacata. L’Unical è prima nella classifica dei grandi atenei statali (fino a 40.000 iscritti) e toglie la leadership a Pavia, università lombarda approdo per generazioni di studenti meridionali: un sorpasso simbolico. Sta cambiando il vento? Il Censis lo certifica. Nicola Leone, Rettore dal novembre 2019, scienziato nel campo dell’intelligenza artificiale, è contento e conteso. Una giornata caldissima e allegra nella struttura disegnata da Gregotti.

Che cosa direbbe a un appena diplomato studente calabrese – o più genericamente meridionale – che sta decidendo dove iscriversi?

«Non cercare altrove quello che hai sotto casa. Non siamo secondi a nessuno per qualità dei corsi di laurea. E in più abbiamo un valore aggiunto che si chiama Campus, con una quota molto alta di studenti stranieri. Qui si parlano tutte le lingue, partecipiamo ai maggiori programmi internazionali di scambio, dall’Erasmus al Dual, dieci corsi sono in lingua inglese. Abbiamo due teatri, due cinema, un ricco centro sportivo. È una città degli e per gli studenti, dove è privilegiato il rapporto umano, di studio. Con un’ottima qualità della vita. 960 studenti sono stranieri, e arrivano da 83 paesi diversi. Siamo in prima fila nelle ricerche internazionali e nello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, solo per fare un esempio».

E sull’avviamento al lavoro?

«L’Unical ti segue anche alla fine del percorso di studi. C’è un ufficio di placement molto attivo, facciamo periodicamente Recruiting Day con le grandi aziende. Ospitiamo incubatori di imprese, start-up. E gli ultimi risultati ci danno ragione. Con un dato della ricerca Almalaurea che ha sorpreso anche me».

A quale si riferisce?

«Il rapporto certifica che l’81% dei laureati trova lavoro entro cinque anni, con variazioni fra i vari corsi di laurea. Ma sei su dieci lavorano al Sud, il 2,7 per cento in più rispetto al precedente rapporto».

Quindi si può dire: se ti formi qui hai buone possibilità di restare. O quanto meno puoi scegliere, l’emigrazione non è obbligatoria.

«Il frutto di un lavoro lungo, grazie anche all’alta qualificazione del corpo docente. Siamo riusciti ad attrarre studiosi qualificati, abbiamo puntato anche sul rientro di ricercatori formati qui, e che avevano trovato lavoro all’estero».

Anche la classifica del Censis parla chiaro. Facciamo che lei sia il coach, come commenta il risultato?

«Un bel riconoscimento, dalla più autorevole delle istituzioni. Certifica il gran lavoro che abbiamo fatto nell’innovazione dell’offerta formativa, dei servizi. Insomma non arriva per caso».

Mense, alloggi, borse di studio. Arcavacata di Rende vince anche per questo.

«Vorrei sottolineare il dato delle Borse, non è scontato. Abbiamo preso 110 nella valutazione del Censis, il massimo: proprio perché siamo riusciti ad erogarle tutte, anche grazie al contributo della Regione. Non a caso, in questa voce, ha preso 110 anche la Mediterranea di Reggio Calabria. E Catanzaro solo qualche punto in meno».

Unical ha circa 24 mila studenti, quindi riuscite ad erogare una borsa di studio su 3.

«Se lei considera gli universitari in corso, che sono quindicimila, si arriva a una ogni due studenti».

In una regione a basso reddito è una medaglia, ma una regione povera dà meno entrate all’Università per via delle esenzioni.

«All’Unical il settanta per cento degli studenti al primo anno è completamente esonerato dal pagamento delle tasse universitarie. Non le sfuggirà che questo crea una penalizzazione in partenza».

È un argomento che portate avanti nei confronti periodici con le altre università?

«Io non perdo mai occasione di parlarne, ultimamente ho portato un piccolo dossier alla conferenza dei Rettori. Questo ho scritto, partiamo svantaggiati rispetto alla maggior parte degli Atenei».

Eppure vince Rende.

«Censis certifica che abbiamo fatto miglioramenti in infrastrutture e sostenibilità: il campus è più green, sono aumentati gli spazi per la didattica, le biblioteche e i laboratori».

Che cosa chiede alla politica? Proprio in un giorno come questo, lei andrebbe ascoltato.

«Alla politica nazionale chiedo di credere in noi, di continuare ad investire. L’Università gioca un ruolo fondamentale soprattutto al Sud, che è in difetto di innovazione tecnologica, che ha bisogno di sviluppo economico: questo il governo lo sa e spero che agisca di conseguenza. E come dimostra la questione delle borse di studio, sento il sostegno dell’istituzione regionale».

L’ascensore sociale non c’è più, il figlio dell’operaio farà l’operaio. Lei pensa che Unical sia in controtendenza?

«Io credo che l’istituzione che dirigo sia un esempio di ascensore sociale, come anche certificato da Almalaurea. In tre casi su 4, i laureati che escono da Arcavacata sono i primi in famiglia. È un formidabile esempio del valore che l’Università può avere».

L’idea dei padri fondatori era la multidisciplinarietà, la contaminazione dei saperi lungo il ponte del campus. Lei pensa che questo risultato sia stato raggiunto? Lei ha voluto il corso di laurea in medicina e chirurgia Td, tecnologie digitali.

«Io sono l’ultimo di una lunga serie di rettori, fin da quando fu concepita l’idea di questa università. Eravamo indietro sulla Sanità, ora abbiamo colmato questa carenza. Possiamo dire oggi di aver realizzato il sogno dei nostri padri fondatori».

In questi giorni, il Sud è spaccato in due, nel disinteresse della grande informazione.

«Questo è un handicap pesante non solo per la Calabria, ma per tutto il Sud. La nostra collocazione decentrata è un fattore penalizzante. Da certe località, si fa prima ad andare a Roma. Abbiamo fatto dei passi avanti con il trasporto aereo, ma leggo che l’Alta Velocità si ferma a Praia. Per far crescere l’Università, e quindi l’economia, c’è bisogno di buone comunicazioni e infrastrutture, prima di tutto».

Come vanno i rapporti con le altre università della Calabria? Per esempio Catanzaro non ha gradito l’istituzione del nuovo corso di laurea in medicina/digitale.

«C’è stata una piccola parentesi, spero che le divergenze siano state superate. Ho incontrato gli altri rettori recentemente. Direi che si fa rete con i fatti: aprire medicina a Crotone, insieme alla “Magna Grecia” di Catanzaro sarebbe la migliore risposta a chi ci accusa di campanilismo. Siamo in attesa della valutazione ministeriale. Dare attenzione a un territorio sofferente, colpito dalla industrializzazione e poi dalle desertificazione, con gravi danni anche sul piano ambientale e sanitario, sarebbe un grandissimo risultato: reale e simbolico. Crotone vuol dire Calabria».

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