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Stefano Musolino

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Stefano Musolino è sostituto procuratore della repubblica a Reggio Calabria ed a luglio è stato eletto segretario di Magistratura Democratica, la corrente di sinistra dell’Associazione Nazionale Magistrati.

L’occasione per incontrarlo è venuta da una sua intervista al Manifesto che ha generato una serie di polemiche e punti interrogativi, rilanciati da alcune testate nazionali con titoli e affermazioni del tipo: “Magistratura democratica contro Gratteri” e ancora “Reggio Calabria contro Catanzaro”.

Dopo le presentazioni, andiamo subito al nodo della questione.

Dottor Musolino, condivide tali affermazioni apparse sui giornali?

«Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente e professionalmente Nicola Gratteri, incrociandolo dapprima quando sono stato giudice del Tribunale di Reggio Calabria, quindi collaborando con lui, come sostituto procuratore, alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Credo sia uno dei migliori procuratori della repubblica d’Italia, ma solo dopo Giovanni Bombardieri!»

Ci scherza su il magistrato, citando il suo procuratore capo, Bombardieri. Ma poi sollecitato a rispondere, riprende serio:

«Nicola Gratteri ha sacrificato la sua vita e quella della sua famiglia, per svolgere in maniera integra, appassionata e dedicata la sua professione, ottenendo risultati di assoluta eccellenza. Credo che tutti noi cittadini e magistrati calabresi dobbiamo essergli grati per questo. Né io, né Cinzia Barillà (altra protagonista dell’intervista al Manifesto, ndc.), né Magistratura democratica, abbiamo conti aperti con Nicola Gratteri. L’intervista esprime opinioni generali e se qualche riferimento specifico vi è stato, era rivolto alla recente vicenda milanese. Le personalizzazioni non servono né alla magistratura, né al contrasto alla criminalità organizzata. Chi tende ad interpretare ogni opinione, in termini di personalizzazione e di tifo pro e contro, agisce per scopi diversi da quello di rappresentare fedelmente il dibattito interno alla magistratura. Questo si sviluppa e si misura nell’ambito delle diverse sensibilità ed approcci culturali – tutti rispettabili se interni al perimetro costituzionale – che percorrono la magistratura e che sono la ragione fondante di quelle che vengono chiamate correnti. Quella che è nota come “vicenda Palamara” ha svelato la loro strumentalizzazione per altri scopi; Magistratura democratica sta tentando di riportare il dibattito sui molti modi di interpretare il nostro lavoro, per avviare un proficuo confronto che ci aiuti a superare la grave crisi di credibilità dell’intero ordinamento giudiziario. Tanto premesso, se affermo che la repressione penale e la sanzione detentiva non possono essere la soluzione principale ai molti mali del Paese ed, in particolare, non sono una risposta adeguata alle prospettive future della nostra Calabria e se aggiungo che è sbagliato affidare a singoli magistrati compiti salvifici e palingenetici, mi limito ad esprimere e rappresentare una sensibilità valoriale, diffusa nella magistratura, che è artificioso ridurre ad una presa di posizione contro qualcuno».

Una differenza di vedute fra magistrati sulla “riforma Cartabia” ha guadagnato una massiccia ribalta mediatica a livello nazionale. Se lo aspettava? Al netto delle interpretazioni che oscillano fra i pro e i contro, a seconda dei giornalisti che scrivono, può dirci in sintesi i punti che non condivide di chi ragiona opponendosi alla riforma della Giustizia?

«I magistrati non possono opporsi alla riforma, potevano criticarla nel dibattito pre-legislativo per evidenziarne limiti e problemi, ma una volta deliberata, devono preoccuparsi di come applicarla. La Commissione Lattanzi aveva elaborato un testo di larghe vedute che riduceva l’idea carcero-centrica del diritto penale, offriva efficaci soluzioni che anticipavano ed inibivano il dibattimento, in una prospettiva che sembrava aprire le porte ad una seria depenalizzazione. In sede di Consiglio dei Ministri, le potature imposte dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle che, sia pure in modo differente, esprimono una sensibilità giuridica di destra, ponendo la sicurezza pubblica e la repressione penale al primo posto, anche a costo di sacrificare e ridurre i diritti degli indagati, hanno gravemente inciso nella prospettiva immaginata dalla Commissione Lattanzi. Ed è un vero peccato, perché ci si è limitati a porre in essere modesti aggiustamenti ad un sistema processuale che non funziona, rinunciando ad una sua autentica riforma. Insomma, è prevalsa la conservazione timorosa dell’esistente e si è rinunciato a cogliere l’occasione per progettare un nuovo sistema processuale».

La magistratura italiana negli ultimi tempi sta subendo ripercussioni senza precedenti, a seguito di inchieste che hanno toccato esponenti di primo piano della categoria. Se potesse tornare indietro, rifarebbe quell’intervista al Manifesto, visto le polemiche che ha generato in questo particolare momento?

«Se c’è una cosa di cui la magistratura italiana non ha bisogno, è chiudersi sulla difensiva e rinunciare ad interloquire sul tema dei diritti. Dobbiamo essere trasparenti ed aperti al confronto, piuttosto che opachi e rinchiusi nei nostri uffici. La strumentalizzazione del dibattito sui temi della giustizia e sulla tutela dei diritti è sempre dietro l’angolo, ma questo non può inibire il dibattito ed il confronto leale e trasparente. Magistratura democratica è un gruppo di magistrati geneticamente insensibile alla chiusura corporativa, che vuole restare aperta al confronto pubblico sui temi della giustizia e dei diritti, facendosi provocare ed interpellare dalle sfide della modernità. Continueremo a farlo anche al tempo delle fake news, delle trash news, delle interpretazioni interessate, senza perdere il gusto del confronto aperto e curioso, continuando a farci mettere in discussione. Ma anche senza mai farci intimidire; perciò, credo proprio che sia io, sia Cinzia Barillà rifaremmo quella intervista al Manifesto».

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