Mario Oliverio durante la trasmissione Quarta Repubblica di Nicola Porro
INDICE DEI CONTENUTI
- 1 IL RACCONTO DELLA VICENDA GIUDIZIARIA DI MARIO OLIVERIO
- 2 LA DIFESA DI OLIVERIO CHE DIVENTA UN GRIDO DI ACCUSA
- 3 OLIVERIO NEL MIRINO? «NON LO DICO IO, LO DICE LA CASSAZIONE»
- 4 OLIVERIO SVESTE I PANNI DELLA DIFESA E VESTE QUELLI DELL’ACCUSA CONTRO IL “POPULISMO GIUDIZIARIO” E LA SUBALTERNITÀ DELLA POLITICA
L’ex presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, da Nicola Porro, racconta la sua storia giudiziaria: una difesa che è un atto d’accusa
È un Mario Oliverio in grande spolvero quello che, seduto in poltrona nello studio di Nicola Porro a Quarta Repubblica in onda su Rete 4, racconta, incalzato dal conduttore, la propria storia giudiziaria. Una storia giudiziaria che inizia quando Oliverio è all’apice della sua carriera politica, Presidente della Regione Calabria con in mente la volontà di fare bis e ricandidarsi per un secondo mandata alla guida della Regione.
IL RACCONTO DELLA VICENDA GIUDIZIARIA DI MARIO OLIVERIO
Alle 7.30 del mattino del 17 dicembre 2018 «succede che si presentano a casa mia gli agenti della Guardia di Finanza – racconta Oliverio – per notificarmi un provvedimento cautelare, ovvero un obbligo di dimora nel mio comune di residenza, San Giovanni in Fiore, che comportava l’impossibilità di uscire da quel comune». Obbligo di dimora comunicato per via di un appalto legato agli impianti da sci in Sila: «Mi son sentito rivoltare il mondo addosso perché i comunico l’obbligo di dimora contestandomi un abuso d’ufficio per una gara d’appalto effettuata quando io non ero presidente della Regione».
Sollecitato da Porro, Oliverio spiega di essere diventato presidente della Regione nel Dicembre 2014 mentre l’appalto risale alla primavera dello stesso anno. Mentre il conduttore si pone il dubbio se per l’abuso d’ufficio sia possibile disporre un divieto di dimora, l’ex presidente Oliverio rincara la dose. «Il 24 dicembre – racconta – cioè la vigilia di Natale mi contestano, per la stessa vicenda, la corruzione». “Ma c’è la mafia di mezzo a questa cosa?” Chiede Porro. «La mafia assolutamente no – replica Oliverio – c’era l’impresa, con la quale non ho avuto mai contatti, cui veniva contestato un rapporto con il clan Muto di Cetraro».
Da lì rapidamente nella stessa giornata le cose sono mediaticamente precipitate con gli organi di stampa che avevano riferito delle accuse in una «proiezione del presidente della Regione oggetto di misure cautelari per mafia».
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LA DIFESA DI OLIVERIO CHE DIVENTA UN GRIDO DI ACCUSA
Mario Oliverio si riscalda nel momento in cui ricorda che «io ricorro in Cassazione, la Cassazione il 20 di marzo, tre mesi dopo, annulla quel provvedimento senza rinvio con una motivazione nettissima: la Cassazione dice che si trattava di un provvedimento abnorme e che si trattava di un chiaro pregiudizio accusatorio».
«Chi era il pm?» incalza dalla sala Piero Sansonetti, ospite di Nicola Porro e con alle spalle una esperienza giornalistica anche in Calabria. E qui Oliverio, prima non risponde ma all’insistenza di Sansonetti inizia: «Sto parlando della procura diretta dal procuratore Gratteri», i toni si alzano. Oliverio ricorda che, malgrado la decisione della Cassazione «mi si rinvia a giudizio con la richiesta di (condanna) a 4 anni e 8 mesi. Io chiedo il rito abbreviato e nel rito abbreviato vengo assolto perché il fatto non sussiste con le stesse motivazioni della Cassazione essendo io estraneo totalmente da quella vicenda».
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Fino ad arrivare «ad un altro procedimento per peculato da cui vengo assolto perché il fatto non sussiste il 10 novembre scorso», quindi «siamo in presenza (di un pregiudizio accusatorio, ndr) come dice la Cassazione, non lo dice Oliverio, perché – prosegue l’ex governatore – la parola pregiudizio accusatorio presuppone appunto una volontà (per cui) a prescindere dai fatti si assumono misure».
OLIVERIO NEL MIRINO? «NON LO DICO IO, LO DICE LA CASSAZIONE»
Porro implacabile quindi incalza: «Pensa l’avessero messo sotto un mirino?». Secco Oliverio «Non sono io a dirlo, la Cassazione lo ha detto. Tant’è che c’è un ripetersi di vicende che si concludono nel nulla».
Le recriminazioni dell’ex presidente, però, non sono solo giudiziarie: «Io sono stato eletto con un consenso del 64%. Io sono stato colpito nella mia…» ma qui Oliverio viene bloccato dalla sala che porta la discussione sulla provenienza politica dell’ex presidente che ricorda: «Io vengo dal Pci e poi ho fatto tutto l’excursus fino al Partito Democratico».
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A questo punto il racconto di Oliverio, che finora profumava di difesa, si trasforma in accusa, in denuncia e afferma: «Una riflessione, in un Paese normale, in un Paese civile, che dovrebbe essere al centro di una iniziativa legislativa, culturale, sociale è che non possibile mantenere una situazione così squilibrata, perché noi siamo da oltre 30 anni in una situazione squilibrata».
OLIVERIO SVESTE I PANNI DELLA DIFESA E VESTE QUELLI DELL’ACCUSA CONTRO IL “POPULISMO GIUDIZIARIO” E LA SUBALTERNITÀ DELLA POLITICA
È il momento dell’attacco, diretto e senza peli sulla lingua, dell’ex presidente della Regione costretto proprio dalle vicende giudiziarie ad una sorta di pensionamento anticipato dalla politica. «Questo populismo giudiziario che si combina con il populismo politico… La vicenda che vive oggi questo Paese è figlia di questa stagione di populismo giudiziario in grande parte. Questa vicenda non può non far riflettere. Anche perché danneggia la magistratura, questo è un danno per la magistratura il cui ruolo dovrebbe essere di contrastare in modo efficace la illegalità».
Tutta la vicenda per Oliverio assume i contorni devastanti della fine della propria vita politica. «A me hanno tagliato le gambe, aggiungo che la subalternità della politica ha una responsabilità gravissima perché io mi sono trovato come se fossi uno sconosciuto per il mio partito. Mi sono trovato isolato, mi sono trovato lasciato solo. Se c’è una condizione di questo tipo è perché c’è subalternità. Ma anche perché c’è qualcosa che non funziona, c’è qualcosa di malato nel rapporto tra la politica e il sistema giudiziario. Non possiamo non parlare il linguaggio della verità. Anche questo clima di paura. Se parlare questo linguaggio di verità significa essere coraggiosi c’è da preoccuparsi. Perché vuol dire che c’è un clima di paura che comprime la discussione e in un Paese civile non può essere accettata la paura. Ecco perché ritengo importante partire dalle storie per incidere e correggere».
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Per Oliverio, in conclusione, «la lotta alla criminalità se viene condotta sollevando polveroni, operazioni a strascico fa un piacere alla criminalità, perché quanto in operazione di 300, 200 o in operazione di questo tipo si trascinano persone per bene si perde la fiducia, si incrina la credibilità dell’azione giudiziaria»
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