Un'ambulanza
5 minuti per la lettura“ERA destino…” Eccola qua la formula magica, il sugo ristretto di fatalismo che pure scorre nelle vene calabresi e nel quale tante volte annega la coscienza critica di un singolo e di una collettività, di una regione, in questo caso.
“Era destino…”: l’altra faccia di un popolo che pure, soprattutto in passato, è stato capace di scegliere un’altra strada, un altro atteggiamento, un’altra prospettiva (ne scrive oggi, nell’edizione cartacea, Filippo Veltri a proposito del libro “Storie di lotta e di anarchia in Calabria”). “Era destino…” Caso chiuso. Sentenza fatale inappellabile, imperscrutabile. Quante volte lo abbiamo sentito dire ai nostri vecchi, quante volte ce lo siamo detti – anche solo in mente – per sfuggire al peso gravoso di prendere consapevolezza che l’ineluttabilità non sempre è una dimensione necessaria. Quante parole per dire una cosa semplice: se uno ha un malore e muore nella lunga attesa dell’ambulanza, o appena questa arriva senza medico, qualche domanda dovremmo porcela. Forse sarebbe morto, forse no. Non necessariamente “era destino…”.
Se uno – come è capitato – muore in ambulanza in attesa di essere preso in carico da un pronto soccorso che scoppia per l’emergenza Covid, nessuno può dire con assoluta certezza che per lui “era arrivato il momento…” Certo, se lo può dire un congiunto, un amico che cerca consolazione in una dimensione altra rispetto alla fede, ma non può farlo un popolo. Non possono più farlo i calabresi perché la misura è colma.
Lo sa bene Roberto Occhiuto, il nuovo governatore e da qualche giorno anche commissario per la sanità regionale. Lo sa perché da politico sa usare le antenne ben orientate sul territorio, lo sa probabilmente anche da calabrese. Non è certo, invece, che lo sappiano tutti coloro che hanno gridato alla grande vittoria perché il governo, con la sua nomina a capo dell’ufficio del commissario, avrebbe “ridato la sanità ai calabresi”. Per il momento ai calabresi restano le macerie di decenni. Farebbero bene, tutti gli osannanti, piuttosto a dichiararsi pronti a dare il loro massimo sostegno a Occhiuto per le cose che dovrà fare e per le quali, gli va dato atto, ci ha messo la faccia: “Sulla riforma della sanità – ha detto – si misurerà il successo o meno del mio governo regionale”. E non gli va dato atto perché è simpatico o per lusingarlo. Gli va dato atto, e va sostenuto, perché da politico intelligente si è reso conto che la sanità va subito soccorsa, e tanto è in gravi condizioni che ha ritenuto di mettere in gioco la sua reputazione.
Dopo il fallimento conclamato del governo centrale (i commissari negli anni sono stati tutti nominati su indicazione dei ministeri), che non è riuscito a risanare né i conti né i livelli delle prestazioni sanitarie in Calabria, ci sarà bisogno di una rivoluzione, più che di una riforma. Ed è necessaria. Se poi il proseguimento della figura del commissario sia la strada migliore è tutto da vedere, per le implicazioni che ieri su questo giornale ha elencato Agazio Loiero. Al di là, comunque, dei nodi complicati da sciogliere, l’impresa titanica è al via.
Due giorni fa Occhiuto si è detto rammaricato perché la Regione ha sostanzialmente perso negli ultimi mesi la possibilità di avere 200 milioni di euro in più, in sede di riparto dei fondi nazionali per affrontare l’emergenza Covid, perché le richieste fatte erano al ribasso. Ha anche aggiunto che “in questo ultimo anno la Regione è stata governata chiaramente a regime ordinario. Non c’era un presidente eletto, ai tavoli del Governo e delle Regioni è mancata l’autorevolezza di un presidente eletto direttamente dai calabresi: così non sarà più”. Ha messo il dito nella piaga, Roberto Occhiuto.
E la piaga non è Spirlì, il facente funzioni a capo della Giunta uscente che, per il vero, non pare si sia dedicata solo a fare l’ordinario, ma è proprio il fatto che la Calabria, agli occhi del governo, ha contato davvero pochissimo. E non solo negli ultimi due anni. Spirlì o meno, l’ex commissario Longo o meno, manager o meno, la Calabria ha affrontato fino ad ora l’emergenza Covid più con l’aiuto divino (o del fato, fate voi) che con altro. Giusto perché non lo si dimentichi: in una situazione di emergenza sanitaria, tanto grave da sospendere, giustamente, libertà costituzionali, non si è stati in grado di dotare la regione dei posti letto Covid (a partire dalle terapie intensive) ai livelli minimi stabiliti dallo Stato. Ancora oggi è la regione con il più alto tasso di ultraottantenni in attesa di prima dose del vaccino (il 17,86%, dato diffuso dalla Presidenza del Consiglio e aggiornato al 5 novembre, ore 8,30): tutti no vax? Ma per favore…
Una parentesi: del disastro del sistema sanitario oltre il Covid sono piene le pagine di cronaca, a partire dalla situazione dell’apparato dell’emergenza: pronto soccorsi, ambulanze del 118… Spirlì, Longo, manager della Regione e delle Aziende sanitarie, uffici… passeranno comunque alla storia insieme ai ministri, corresponsabili senza attenuanti, per una scandalosa pagina nera che non era destino che fosse scritta. A volte quello che chiamiamo destino è semplicemente incapacità o irrilevanza, o entrambe insieme.
Occhiuto, adesso, sta lavorando a costruire la nuova macchina che dovrà far correre la sanità velocemente. E tanto la posta è alta che importa davvero poco la battaglia politica della propaganda del tipo “Occhiuto fa parte di quella politica che in questa regione la sanità l’ha distrutta”.
Il governatore-commissario si gioca quasi tutto sulla sanità, e non solo perché il problema della sanità sia il solo pantano per i calabresi, ma perché i tagliandi all’attività che sarà in grado di svolgere saranno frequenti e misurabili: risultati sì, risultati no. Il destino, per capirci, qui non c’entra.
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