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Quando si spegnerà l’eco dell’imbarazzante intervista televisiva dell’ormai ex commissario per la sanità calabrese Cotticelli, i riflettori torneranno a concentrarsi soprattutto sulla classificazione della regione zona rossa e sulla rabbia popolare che questa decisione ha suscitato. Rabbia comprensibile e di facile interpretazione perché a legger da soli i numeri dei contagi da Covid in Calabria la misura può apparire spropositata. Rabbia legittima per chi è stato costretto a chiudere la propria attività economica (in attesa di un ristoro che in molti casi non sarà sufficiente a ristorare un bel niente, perché sarebbe come voler curare un malato che già era grave con un’aspirina).

Se i rossi di rabbia, verosimilmente, rimarranno tali, c’è da chiedersi se quelli rossi di vergogna torneranno – ammesso che rossore abbia provocato questa certificazione del fallimento della politica a ogni livello, a partire dal Governo ma senza risparmiare chi oggi sembra caduto dal pero – ad un colorito normale. Senza soffermarsi più di tanto qui sul caso Cotticelli, del quale il Quotidiano scrive oggi in maniera diffusa in tutte le sue edizioni, non si può non notare che se ad un commissario il Ministero che l’ha nominato e comunque mantenuto in carica assegna un adempimento, non si capisce perché in caso di inadempimento nessuno intervenga per tempo (si legga ministro della Salute, potenti direttori generali del Ministero e giù a catena). Considerato, in particolare, che si sta parlando di compiti legati ad una emergenza sanitaria da pandemia. Insomma, non è propriamente come quando uno studente non fa un tema.

Commissario per la sanità calabrese, commissario per l’emergenza nazionale, Ministeri, Governo, Regione (per la parte eventuale di competenza), insomma il solito girone dantesco (dell’Inferno) all’italiana a cui sono ascrivibili inefficienze totali, come nel caso del numero dei posti letto di terapia intensiva. Questa volta non sono chiacchiere, non sono annunci, non sono dirette Facebook né riunioni per programmare interventi delicati sine die. Cento, duecento, trecento, diecimila… No, solo qualche numero di facile lettura e di semplicissima interpretazione, salvo mettere in dubbio i dati dei report dell’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Il report aggiornato a ieri che pubblichiamo qui sopra la dice lunga sul vergognoso fallimento delle strategie anti-Covid (alle terapie intensive vanno poi aggiunti il sistema di tracciamento saltato, i tamponi che addirittura da qualche parte scarseggiano, le Unità territoriali partite a metà e tutto ciò, insomma, che gli scienziati considerano tra l’altro nelle loro previsioni sulla diffusione del contagio).

La Calabria non solo è la regione ultima per numero totale di posti letto attivi di terapia intensiva (6.3 ogni centomila abitanti), ma è anche quella che ha avuto il più basso incremento dallo scoppiare dell’emergenza Covid (0.8 posti per centomila abitanti, cioè, una quindicina in tutto). Ma la Calabria è sottoposta a piano di rientro, si dirà. Certo, ma lo sono anche altre regioni. Ma la Calabria, si obietterà, è anche commissariata per risanare i conti… Certo, esattamente come il Molise, dove di posti in terapia intensiva per il Covid ne sono stati attivati 1.3 ogni centomila abitanti e soprattutto, sommati a quelli di cui già quella regione disponeva prima della pandemia, fanno 11.2, quasi il doppio di quelli calabresi. Sei mesi, in Calabria, per attrezzare 15 posti letto. Per arrivare alla seconda ondata con meno della metà dei letti in terapia intensiva considerati come soglia minima di sicurezza (14 ogni centomila abitanti).

La rabbia e la vergogna. Quantomeno per decenza, chiunque abbia un ruolo in questa porcheria non osi strumentalizzare la rabbia legittima di chi vede nero nel suo orizzonte lavorativo, di chi ha fatto di tutto per mettersi in regola con le norme di prevenzione del contagio nelle proprie attività, siano essere ristoranti o negozi di scarpe. Non si faccia contagiare da quel rosso comprensibile, e pensi, piuttosto a quell’altro, di rosso, quello della vergogna. Per il resto, le proteste contro il Governo siano piuttosto rivolte, se il destinatario è giusto, per quei 15 posti in più e per quel 6.3 che, vergogna a parte, fa rabbrividire. Altro che ricorsi e slogan di partito dei quali, anche se si voterà speriamo prima possibile per le regionali, ai calabresi non interessano affatto.

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