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Le liste per le regionali di inizio ottobre sono state presentate. Ora si parte. In bocca al lupo a tutti i candidati, tranne che ad uno. Oltre ai quattro aspiranti governatori, è il quinto candidato in corsa, che non deve presentare le liste, non deve fare campagna elettorale, non cerca di farsi intervistare, non deve tenere una fitta agenda di incontri con potenziali elettori. Niente, non fa niente.
Aspetta e poi prende beneficio il giorno delle urne, a danno dei suoi quattro concorrenti e soprattutto della Calabria. Ma la “colpa” della sua vittoria non è sua. La responsabilità del fatto che negli anni è via via ingrassato, a furia di decine, di centinaia di migliaia di voti non espressi di volta in volta, è da ricercarsi in un complesso di fattori, al quale ha di certo contribuito una classe politica e dirigente spesso non all’altezza.
E non è un giudizio soggettivo o di parte (di quale, poi?), che sulla linea di partenza di una competizione elettorale importante per la Calabria suonerebbe come di cattivo auspicio. È semplicemente la lettura di una situazione grave in cui questa regione cerca di barcamenarsi da decenni.
L’astensionismo la dice lunga sulla sfiducia, sull’avvilimento, sulla rabbia – anche quella silenziosa, anche quella che non abbocca agli ami dell’antipolitica che poi, sul consenso, diventa parte di quel sistema combattuto con gli effetti speciali – dei calabresi per la mancanza di risposte tarate sui bisogni.
Una dinamica brutta, per una democrazia, che non ha mancato di fare sentire la sua pressione a livello nazionale, certo, ma che in Calabria, intrisa dello scontento alimentato non solo dalla scarsa efficienza della macchina regionale, è diventata bruttissima.
Alle ultime regionali, quelle del gennaio 2020 ha votato il 44,33% degli aventi diritto; nel 2014 la percentuale era stata del 44,08%, del 59% circa nel 2010 mentre nei turni precedenti (2005 e 2000) si manteneva ancora intorno al 64%. È vero che non sempre bastano i numeri per descrivere una realtà in tutte le sue sfaccettature, ma qualcosa continuano a significare.
In uno dei recenti sondaggi circolati sulle intenzioni di voto per queste regionali, la risposta ad un quesito generale conferma che il primo problema percepito come tale dai calabresi è la sanità. Inutile fare il riassunto delle puntate quotidiane che da anni pubblichiamo su questo giornale. Inutile, ora, parlare delle altre grandi “emergenze ordinarie” della Calabria. Le conoscono i calabresi e le conoscono i candidati.
Quello che viene da pensare e da dire oggi è che chi aspira a governare la Calabria, con storie diverse alle spalle, deve avere sempre presente che il concorrente invisibile va tenuto in considerazione, e non solo e non tanto per “riavvicinare la gente alla politica”, auspicio espresso da decenni a ogni latitudine e da decenni rimasto un miraggio, quanto perché se uno riesce, in questo mese che ci separa dalle urne, a convincere i calabresi della bontà delle sue proposte, automaticamente toglie ossigeno alla rassegnazione, argina la grande voglia di astensione, semplicemente offrendo prospettive migliori a questa terra.
Gli auspici sono tanti. Uno su tutti: basta con aggressioni, denigrazioni e corsa al podio puntando sull’affermazione dell’io, puro, verginello e meraviglioso. Si “battano” con proposte serie. Anche poche, ma concrete. Senza promettere posti di lavoro (che non è mestiere delle Regioni, se non nella misura in cui quelle assunzioni sono previste e necessarie per assicurare servizi, vedi il caso della sanità), ma prospettando soluzioni pratiche (cioè comprensibili e verificabili dai più), per esempio, perché la Calabria diventi terra più attrattiva per viverci, per lavorarci e per investirci.
Il lavoro si favorisce così, abbattendo il mostro della burocrazia (in questo caso regionale) e dotando la regione di tutto quanto – di competenza dell’ente – possa fungere da catalizzatore per chi voglia creare occupazione. L’obiettivo principale, cari candidati, non è quello di non fare più arrivare primo il nemico invisibile dell’astensionismo, ma far guadagnare posizioni alla Calabria e ai calabresi.
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