X
<
>

Share
3 minuti per la lettura

Il caso Abramo Customer Care, la bomba sociale e la rabbia per una strategia della Tim che “abbandona i soldati al fronte”

Da poche settimane, Tim è passata (l’iter non è ancora concluso) al fondo americano Kkr il cui 10% è in mano alla Cdp (Cassa Depositi e Prestiti, società per azioni controllata dal Ministero dell’Economia) che è, in pratica, la versione riveduta e corretta dell’Iri di una volta: con i soldi pubblici (cioè i nostri) interviene sul mercato acquistando, gestendo e vendendo aziende, settori di business. Meno male che c’è.

Ma proprio per l’aspetto “pubblico” della vicenda Tim colpisce il fatto che uno dei primi atti compiuti in corso di passaggio societario, sia stato distruggere definitivamente la Abramo Customer Care e far fuori in un colpo solo, dal primo gennaio, circa 500 posti di lavoro nei call center delle province di Catanzaro, Crotone, Cosenza e Palermo. Mi direte, ma le grandi aziende non guardano a queste cose, devono fare i conti e se i conti non tornano o c’è un’occasione migliore, si chiude un contratto da una parte e se ne apre uno da un’altra.

SE TIM NON TIENE CONTO DI NULLA: IL CASO ABRAMO CUSTOMER CARE

Che Abramo Customer Care abbia una storia, in quella breve dei call center, che quest’anno compia 25 anni da quando venne creata per una sorta di risarcimento (voluto da Prodi) in seguito ai disastri dell’alluvione del crotonese del 1996, poco importa a chi fa i conti oggi in Tim. Non conviene più servirsi dei servizi di Abramo e basta. Non conta se quelle centinaia di persone sono ormai brave e formate. Sia dal punto di vista tecnico che da quello della capacità di “curare il cliente”.

Non conta perché Tim non applica la clausola di salvaguardia che altre aziende di pari peso applicano e che consente di spostare le persone col business: cambi fornitore? Ok, ma il nuovo si farà carico delle maestranze del vecchio che sanno già come si fa il lavoro. Oltre alla “customer care”, una volta c’era un po’ di “worker care”. O almeno, sindacati e governanti erano in grado di far pesare questo aspetto sul tavolo delle trattative.

I CALL CENTER TRASFORMATI DA CENTRI DI CURA A MURO DI INDIFFERENZA

Tra l’altro, e qui non c’entra solo Tim, va notato il dato che sempre di più, nella nostra società tecnologica, i Call Center non servono tanto per “curare il cliente” ma per creare un solido muro di indifferenza e distanza tra l’azienda che vende i servizi e il cittadino che li compra. A tutti sarà capitato di chiamare un call center che risponde per conto di una grande società telefonica. La prima cosa che si nota è che, dall’altra parte c’è un ragazzo o una ragazza gentile e preparato (e spesso esperto) che cerca di risolvere il problema.

La seconda è che se il problema non si risolve e voi chiedete di parlare con un “superiore”, con qualcuno che si prenda la responsabilità dell’inghippo in cui vi trovate, la risposta sarà un muro di diniego. E lì vi rendete conto che quel ragazzo o quella ragazza non è lì per avvicinare cliente e azienda, ma per tenere lontane le ragioni del cliente da chi è responsabile del servizio o del disservizio.

PERCHE’ TIM DEVE RIPENSARCI E PROROGARE IL CONTRATO CON LA ABRAMO CUSTOMER CARE

Ed è per questo che fa rabbia la vicenda di Abramo Customer Care. Per questo che hanno ragione gli amministratori calabresi e romani a chiedere a Tim di ripensarci e di prorogare il contratto con un’azienda che pochi anni fa dava lavoro a 2/3000 persone e che adesso è in amministrazione giudiziale e deve fare anche i conti con lo scarso spirito imprenditoriale dei commissari.

LEGGI ANCHE: La “bomba sociale” del caso Abramo sveglia la politica

Tagliare i 500 posti di lavoro di Abramo Customer Care, è come abbandonare i soldati al fronte nelle trincee. Mollare per la strada quelli che per anni ti hanno letteralmente riparato dall’ira spesso giustificata dei clienti prendendosi per tuo conto letterali palate di sterco. Non è bello che questo venga fatto da una grande azienda in cui ci sono anche i nostri soldi tramite la Cassa Depositi e Prestiti. Non è bello che così vada a farsi benedire la funzione sociale dell’impresa prevista dall’art. 41 della Costituzione.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE