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L’auspicio, scontato e banale per il vero, è che la pandemia si dissolva prima possibile. L’altro, un po’ meno scontato, è che non si torni alla vecchia “normalità” per molte cose che proprio questa emergenza sanitaria ci ha detto che non funzionano. Se non ci fosse stata la Costituzione, con i meccanismi previsti per dirimere anche conflitti istituzionali, e se il buon senso – in quella fase drammatica – non avesse dettato una rigida scaletta di priorità (con in cima la salute pubblica), la democrazia sarebbe stata travolta da un vortice infernale. Libertà sospese, regole nazionali, deroghe regionali, contro-deroghe comunali… Il caos.

Oggi che la tensione (e la paura) collettiva si è oggettivamente allentata, nonostante l’emergenza non sia ancora cessata, sembrano prepotentemente tornati in primo piano gli scontri politici con al seguito diluvi di parole. Il sale della democrazia? Sarà pure, purché nessuno si sogni di far finta di niente su un qualche questioncina: il sistema sanitario si è dimostrato non all’altezza, parecchie decine di morti per il Coronavirus sono stati medici e infermieri lasciati senza i dispositivi minimi di protezione per non infettarsi (diverse migliaia tra loro sono stati contagiati). Ancora: nelle regioni del Nord più colpite i medici rianimatori hanno dovuto spesso decidere chi salvare e chi no perché i macchinari non erano sufficienti. E poi: i posti di terapia intensiva si sono rivelati del tutto insufficienti.

E anche in regioni come la Calabria nelle quali il Covid pure ha ucciso ma non per carenza di ventilatori polmonari e apparecchiature varie, il problema strutturale c’era e c’è. Ci si accapigli pure sulla decisione del Tar sull’ordinanza della governatrice calabrese per bar e ristoranti con tavoli all’aperto. Così come sulle nuove decisioni di Governo, Regioni e Comuni che fanno la corsa, per certe cose, a chi arriva prima. Tar, Consiglio di Stato, dibattiti accesi, accuse feroci di lesa maestà da tutte le parti. Si accusino, gli uni e gli altri schieramenti, di tutto ciò che ritengano.

Si inneggi alle autonomie piuttosto che ai poteri centrali. Si riprenda la campagna elettorale costante alla quale ormai eravamo abituati prima che il Coronavirus ci rivelasse tutte le nostre fragilità. Nessuno speri, però, che, passata la pandemia, e rimessa in moto l’economia per poter vivere, la gente dimentichi che i nostri ospedali calabresi non erano pronti (e probabilmente non lo sono oggi) a sopportare la “cattiveria” che il Covid-19 ha mostrato in Lombardia. Il prezzo sarebbe altissimo, come purtroppo è stato altrove. Tornare alla “normalità” non deve necessariamente significare tornare in una condizione di precarietà che, al solo pensiero delle bare e delle croci che il virus ha sparpagliato, oggi appare del tutto intollerabile.

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