Un disegno di don Carlo De Cardona
4 minuti per la letturaDON Carlo De Cardona, sacerdote nato a Morano Calabro il 4 maggio 1871, è stato l’apostolo della redenzione sociale dei contadini e dei lavoratori calabresi.
Oggi alle ore 18, il servo di Dio, nel 150esimo anniversario della sua nascita, sarà ricordato a Cosenza in Cattedrale e a Morano Calabro nella Chiesa della Maddalena, dove sono state traslate le sue ossa.
Ma oggi la Calabria festeggia anche il suo patrono, San Francesco di Paola (LEGGI). Ecco uno scritto di don Carlo De Cardona proprio su San Francesco di Paola, tratto da Il lavoro, 4 aprile 1908 (n. 14, p. 1). Cardona lo descrive come uomo umile ma anche potente grazie alla forza dell’amore.
(tiz. a.)
“… bum… bum… ta – ta – bum… zzu – zzu… ra – ra – zzuu… Cioè musiche, tamburi e grancasse, ecco la festa di San Francesco, nei nostri paesi. Ma nessuno forse, si è ricordato di quello che San Francesco era… Egli era un uomo povero, umile e potente.
Noi invece vogliamo essere ricchi, siamo superbi, e la debolezza nostra è tanto grande, che una mosca, una pulce, una parola sola ci scoraggia e ci fa perdere la pazienza. E a questo non ci pensiamo. Una volta il demonio voleva tentare l’ultimo colpo per abbattere l’anima di San Francesco e questa ancora era l’anima di un giovane a 18 anni. Ma non ne ricavò niente. Più tardi, il re di Napoli, Ferdinando I, gli offrì una coppa piena di monete d’oro… Immaginate! monete d’oro… Ma San Francesco rispose, che quel danaro non l’accettava; e presa una di quelle monete, la spezzò dicendo: «Ecco o re, il sangue dei poverelli».
Alcuni mesi dopo, un altro re, Luigi XI di Francia, pensò che avrebbe guadagnato al suo desiderio, la volontà di San Francesco accarezzandolo con doni preziosi. Gli mandò in prima, due vasi di argento, perché li accettasse come grazioso regalo del sovrano. Francesco li respinse. Gli mandò poi una statua della Madonna, tutta in oro, pensando: questa almeno è una cosa sacra e l’accetterà.
Neppure questa volta volle accettare, e alle insistenze del sovrano rispose: «di quest’oro sarebbe assai meglio che il re ne facesse limosine ai poveri». Finalmente gli venne offerto, in segreto, del danaro sonante. Ma era inutile: l’anima di San Francesco era più grande di tutte le ricchezze e le mene cortigiane. Innanzi a lui, povero e umile, si deve piegare la testa del re. Alla sua voce obbediva la natura, i macigni, i monti, il mare, il fuoco, la vita. I cuori più duri si spezzavano e si scioglievano in lagrime alla sua parola, semplice e dolce, e anche alla sua sola presenza.
Tanta forza, una sì grande potenza, in un uomo così povero e umile, perché? Perché quell’uomo, povero e umile, era pieno di amore. In nome dell’amore egli diceva al macigno: «per carità, fermati».
In nome dell’amore diceva al monte che impediva la fabbrica del suo monastero: «per carità, scostati». Mosso da infocata carità, sanava l’infinita miseria dei suoi fratelli, guadagnava alla pace i cuori più superbi: le cose della natura, le pietre, l’acqua, il fuoco, le piante, le pecorelle, gli uccelli, i pesci intendevano e seguivano la voce dell’amore, perché infine tutte le cose sono figlie dell’amore, Dio
Quando egli, partito per la Francia, giunse sulla vetta di Pollino, e precisamente al valico di Campotenese, si fermò a guardare e benedire, l’ultima volta, la sua Calabria. In quel momento era così fervido l’amore suo alla terra nativa, alla Calabria nostra, che la roccia sulla quale i suoi piedi posavano, ne sentì il peso e ne riportò l’impronta.
Ecco o amici, la potenza per vincere nella giustizia: è la potenza dell’amore, dell’amore che è paziente, che non teme, che crede ogni cosa e spera ogni cosa.
Ecco, come la primavera – grande e sublime – si manifesta anche nel piccolo fiore della valle e geme anche nell’umile voce del passero – così l’amore si afferma e vive anche nelle piccole opere del bene – nell’educare e nutrire la famiglia, nel sostenere il povero, nel fare la scuola ai fanciulli, nel promuovere le Casse rusali, le cooperative, e ogni altra cosa che dall’amore discende, come i fiori e i fiorellini dalla primavera.”
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