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IL COSTO delle fonti rinnovabili e dell’energia pulita si abbatte con particolare durezza sui cittadini calabresi, infatti, pur essendo una regione che contribuisce in modo determinante alla produzione energetica nazionale, la Calabria paga il prezzo ambientale della moltiplicazione dei grandi impianti e non solo. C’è anche il fattore omega che fa lievitare in modo esorbitante le bollette di aziende e strutture pubbliche costrette ad “assicurare”, con un pesante esborso, l’eventuale presenza di cattivi pagatori.

IL BILANCIO DELL’ENERGIA PULITA IN CALABRIA

Piero Polimeni, ingegnere di Net – Polo di innovazione Ambiente e Rischi naturali della Calabria e già docente nelle università di Messina e Reggio Calabria, nello spiegare i nodi che persistono sull’energia pulita e rinnovabile, punta su un fondamentale dato di partenza: «Il consumo della Calabria non richiede tutta l’energia che viene prodotta. Eppure, nel crotonese e nel lametino possiamo dire che ormai c’è un “paesaggio di ferro”, perché abbiamo una quantità considerevole di impianti eolici che producono energia che viene esportata sia in Italia che fuori. Per poter fare un bilancio energetico dobbiamo considerare che quello che consumiamo è molto inferiore rispetto all’energia che produciamo con tutti i tipi di impianti, da quelli a gas a quelli delle fonti rinnovabili. Con l’eolico e il fotovoltaico arriviamo a esportare i due terzi dell’energia che produciamo, si parla di miliardi di Kwh, 9 Gigawatt ne vengono prodotti e circa 6 ne vengono esportati ogni anno». La nostra storia di esportazione di energia viene da lontano, la Calabria, infatti, è sempre stata sede di localizzazione di impianti che utilizzavano il petrolio o il metano per produrre un certo numero di Kwh che servivano ai consumi nazionali «basta pensare alla centrale di Rossano – ricorda Polimeni – che andava prima a petrolio, poi è stata trasformata in olio combustibile e poi ancora in gas; con i suoi gruppi di potenza, ha sempre prodotto energia che non abbiamo mai consumato, perché il sistema produttivo calabrese non è così energivoro come in altre parti d’Italia».

Ma da tutto questo non solo non è mai derivata una ricchezza adeguata alla regione ma sono sempre rimasti a carico della Calabria tutti i “costi ambientali”, come gli scarti e i residui prodotti dalle centrali. «È ancora peggio – chiarisce Polimeni – perché non solo non si è mai generata ricchezza attraverso questa produzione in eccesso, ma oggi il costo che paghiamo è quello del consumo di suolo con gli enormi impianti eolici e fotovoltaici. Impianti costruiti da imprese multinazionali che hanno portato fuori anche tutti i benefici».

AREE IDONEE E NON IDONEE

Sulle aree idonee e non idonee alla realizzazione di nuovi impianti, argomento che diventerà dirimente da qui all’immediato futuro, l’ingegnere del Net propone una riflessione partendo da un assunto preciso: «Se una regione come la Calabria guarda l’idoneità delle aree dal punto di vista esclusivamente della producibilità dell’energia pulita, allora si tratta di una delle regioni più privilegiate: questo perché ha una quantità elevata di insolazione (cioè di numero di giorni in cui c’è il sole) e alcune aree sono fortemente ventilate tutto l’anno e quindi vocate all’installazione di pale eoliche. Ma questo criterio esclusivo della convenienza economica ha determinato una installazione considerevole e un moltiplicarsi degli impianti. Ora si sta presentando anche l’ipotesi di posizionare impianti off-shore. Noi sappiamo che in Calabria, nei nostri specchi di mare, la ventosità ha un valore importante e potremmo continuare a produrre energia pulita e portare sulle spalle non solo l’Italia ma anche l’Europa. Ma la verità è che la realizzazione di questi impianti non è idonea dal punto di vista paesaggistico».

«La direttiva europea sulle aree idonee e non, che è stata recepita dal governo, dovrebbe condurre le regioni a definire, preliminarmente al rilascio di nuove concessioni, le aree vocate compatibilmente al piano paesaggistico (che però in Calabria manca) – chiarisce Polimeni – questo è un vuoto normativo che va colmato rapidamente. È vero che il piano regionale che la legge urbanistica aveva avviato definisce alcuni elementi da tutelare, ma manca lo strumento fondamentale del Piano paesaggistico che aspettiamo con ansia perché ci potrebbe dare delle indicazioni, anche vincolanti, sulle aree potenzialmente idonee».

C’è un’altra considerazione da fare, quella relativa al Piano energetico regionale e per il clima (in relazione al Piano nazionale integrato per l’Energia e il Clima). «Quello calabrese non fa una scelta, e questo è criticabile, perché non pone una moratoria sulla localizzazione dei nuovi impianti di grandi dimensioni (che consumano suolo da un lato e non salvaguardano il paesaggio in generale) e soprattutto non abbiamo ancora capito quali sono gli interventi di adattamento ai cambiamenti climatici – spiega Polimeni – quindi parlare di aree idonee e non idonee in assenza di un piano definito è una questione non risolta che non ci dà elementi di garanzia per la tutela del territorio. Noi rischiamo di avere aree idonee considerate tali solo dal punto di vista produttivo e invece non sostenibili dal punto di vista ambientale e paesaggistico».

LE COMUNITÀ ENERGETICHE

C’è una soluzione, tuttavia, che viene offerta anche dalle direttive europee, queste infatti indicano nelle comunità locali il soggetto protagonista nel consumo energetico. Sono le cosiddette Comunità energetiche, costituite da Comuni che partono dalle proprie fonti e le valorizzano scambiando energia a livello locale. L’ingegnere del Net specifica che «L’Ue spiega che è inutile staccarsi dalla rete nazionale per creare reti locali e impone che le reti nazionali, che sono dei grandi serbatoi, consentano di scambiare l’energia a livello locale. Il Comune può, dunque, valutare quali sono i consumi a livello locale e quali le risorse e poi produrre l’energia necessaria a quella comunità, si diventa così produttori e consumatori autonomi sfruttando la rete di trasmissione nazionale in modo da ridurre le emissioni inquinanti. Ricordiamo che l’Ue prevede degli incentivi per questo utilizzo virtuoso».

Polimeni non ha dubbi sul fatto che la Calabria dovrebbe sostituire la proposta della realizzazione di nuovi grandi impianti di energia pulita e rinnovabile con l’incremento delle comunità energetiche e afferma: «Non vogliamo più che il nostro territorio sia uno spazio socialmente utile senza nessun ritorno, pretendiamo che siano valorizzate le nostre risorse, vogliamo condividerle e allo stesso tempo ridurre il consumo di fonti non rinnovabili attraverso il meccanismo della comunità energetica. Il nostro piano regionale deve fare una scelta: non possiamo avere sia le comunità energetiche che i grandi impianti».

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