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IN CALABRIA i giovani sono sempre meno, tendono a restare a casa con i genitori anche alle soglie dei 40 anni, si sposano tardi e poco più di uno su tre, tra loro, lavora. Il quadro è quello tracciato dall’Istat nel focus “I giovani del Mezzogiorno: l’incerta transizione all’età adulta”, che fotografa il progressivo «de-giovanimento» del Paese e soprattutto delle regioni del Sud Italia. Un quadro in cui anche quelli che appaiono come segnali positivi – l’aumento della propensione agli studi universitari che vede in Calabria un aumento di quasi l’11 per cento delle immatricolazioni – sono la cartina di tornasole del ritardo socio-economico: continuare a studiare sarebbe, almeno in alcuni casi, una scelta obbligata davanti alla penuria di offerte lavorative. Una volta laureati (o anche prima) i giovani comunque partono. «È un paradosso – scrive l’Istat – ma nel medio-lungo periodo, ciò potrebbe alimentare una deprivazione ulteriore di capitale umano con competenze avanzate, indispensabile per il Mezzogiorno».

IN CALABRIA SEMPRE MENO GIOVANI

Le regioni meridionali – ad eccezione di Abruzzo e Sardegna – restano ancora quelle che, in percentuale, ospitano una componente giovanile più cospicua della media nazionale. In Calabria la fascia 18-34 anni rappresenta il 18,5 per cento della popolazione (la media nazionale è il 17,5 per cento, al nord siamo fermi al 16,9). Tuttavia il calo rispetto a vent’anni fa è maggiore nel Mezzogiorno rispetto al Centro Nord, con punte significative in Calabria: qui, nel 2002, la fascia di giovani 18-34 anni rappresentava il 25,1 per cento dei residenti. In termini assoluti, in vent’anni siamo passati da 503mila 220 giovani a poco più di 345mila, con una variazione negativa del 31,4 per cento (la media nazionale è del 23,3 per cento).

Né le proiezioni per il futuro sono incoraggianti. Si stima infatti che nel 2040 la percentuale di giovani rispetto alla popolazione scenderà al 16,3 per cento e nel 2060 sarà al 15,4: poco più di 200mila under 35 su una popolazione totale che a quella data, prevede l’Istat, si attesterà al di sotto del milione e 400mila residenti.

IN CALABRIA I GIOVANI RESTANO DI PIÙ A CASA DEI GENITORI

Nel 2001 meno del 20 per cento dei giovani in Calabria under 40 viveva ancora in famiglia. Vent’anni dopo questa percentuale è schizzata al 34,6 per cento. È uno dei dati più alti a livello nazionale, preceduto solo da Campania e Sardegna. Giocoforza vediamo salire l’età media per matrimoni e figli. Nel 2001, nelle regioni del Mezzogiorno, gli uomini si sposavano in media a 31 anni e le donne a 28: oggi si convola a nozze, rispettivamente, a 34 e 32 anni. E se vent’anni fa si diventeva papà a 34 anni e mamma a 30, ora le soglie salgono a 35 e 32.

SI PROLUNGANO GLI STUDI

Nell’anno accademico 2021/2022 tutte le regioni meridionali – fatta eccezione per Campania e Sicilia – «presentano un tasso di immatricolazione universitaria migliore rispetto alla media nazionale». In Calabria si viaggia sui 60 immatricolati ogni 100 diciannovenni, a fronte di una media nazionale di 55,7. «Poiché si tratta di contesti caratterizzati da un’ampia e qualificata offerta di percorsi universitari, si può ritenere che un incremento così rilevante agli studi terziari – si legge nel rapporto – derivi anche da altri fattori legati alla domanda. Si tenga conto che queste regioni includono i territori a maggiore e più persistente ritardo di sviluppo dell’Ue, con un progressivo indebolimento del sistema produttivo e dell’occupazione, soprattutto giovanile, che hanno sofferto in modo particolare gli effetti della Grande crisi del 2008 e – successivamente – della Pandemia.

Peraltro, fra gli universitari meridionali si rileva una minore regolarità di questo percorso di studi, sia all’atto dell’iscrizione sia, soprattutto, al conseguimento della laurea. A ciò si associa una maggiore mobilità territoriale che caratterizza tali percorsi di studio. Per i giovani del Mezzogiorno, la migrazione universitaria, che si attiva soprattutto verso gli atenei settentrionali, assume proporzioni considerevoli: coinvolge oltre un caso su quattro all’atto dell’iscrizione, e oltre un terzo al conseguimento della laurea».

IL LAVORO CHE NON C’È

Tutti i dati fin qui presentati si spiegano – e in modo ahinoi ormai pressoché scontato – alla luce di altri numeri: quelli che fotografano l’occupazione nel Mezzogiorno e in Calabria. Qui il tasso di occupazione giovanile è il più basso d’Italia: appena il 35,8 per cento, che scende al 27,4 per cento se guardiamo solo la componente femminile. Elevata anche la percentuale di Neet, i giovani che né studiano e né lavorano: 46,8 per cento. Chi lavora, poi, deve fare i conti con precariato e contratti atipici.

Anche in questo caso la Calabria guadagna un primato, con il 67 per cento di lavoro giovanile atipico. Ne deriva insomma che il percorso dei giovani calabresi verso la vita adulta è più accidentato e la transizione incerta. Lo testimonia anche un ultimo dato: la diffusa incertezza verso il futuro, che nel 2021 interessava un giovane meridionale su cinque. In Calabria la percentuale è anche più alta: si arriva al 25,1 per cento.

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