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SONO trascorsi dieci anni dall’introduzione dell’euro e in questo decennio, complice l’inflazione e il cambio virtuale alla pari tra lira ed euro con cui in molti casi ciò che costava 1.000 lire è passato a costare un euro, i prezzi sono aumentati soprattutto al Sud ma, a differenza di quanto si possa credere, l’impennata dei costi della merce non ha riguardato generi alimentari, abbigliamento, calzature o la ristorazione. Secondo gli studi compiuti dalla Cgia di mestre a lievitare sono stati soprattutto i costi delle bevande alcoliche e dei tabacchi, quelli collegati alle ristrutturazioni e alle manutenzioni edilizie, gli affitti delle abitazioni e i combustibili con connesse bollette domestiche di elettricità e gas, nonchè i trasporti anche per correlazione con l’aumento del costo dei combustibili e quindi dei carburanti. In particolare, tra il 2002 ed il luglio di quest’anno, l’inflazione media italiana è cresciuta del 24,9% ma a fare da traino in questa spinta verso l’alto dei prezzi è la Calabria dove si è registrato l’incremento regionale più elevato: +31,6% tra tutte le regioni d’Italia. Seguono la Campania, con il +28,9%, la Sicilia, con il +27,6%, e la Basilicata, con il +26,9%. Le meno interessate dal caro prezzi, invece, sono state la Lombardia, con un’inflazione regionale del +23%, la Toscana, con il +22,4%, il Veneto, con il +22,3% e, ultimo della graduatoria, il Molise, dove l’inflazione è lievitata ‘solo’ del 21,7%. Andando nel dettaglio, l’euro ha fatto esplodere i prezzi delle bevande alcoliche e dei tabacchi (+63,7%), quello delle manutenzioni/ristrutturazioni edilizie, gli affitti, i combustibili e le bollette di luce, acqua e gas e asporto rifiuti (+45,8%), nonchè dei trasporti (treni, bus, metro +40,9%). Pressochè in linea, se non addirittura al di sotto del dato medio nazionale, gli incrementi dei servizi alberghieri e della ristorazione (+27,4%), dei prodotti alimentari (+24,1%), del mobilio e degli articoli per la casa (+21,5%), dell’abbigliamento/calzature (+19,2%). «A differenza di quanto è stato denunciato sino ad ora – conclude Bortolussi – con l’avvento dell’euro non sono stati i commercianti a far esplodere i prezzi, bensì i proprietari di abitazioni, le attività legate alla manutenzione della casa, le aziende pubbliche dei trasporti, i gestori delle utenze domestiche ed, infine, lo Stato con gli aumenti apportati agli alcolici e alle sigarette. Sul totale della spesa media famigliare, che nel 2011 è stata pari a quasi 30.000 euro, i trasporti, le bollette e le spese legate alla casa hanno inciso per quasi il 50% del totale, mentre la spesa alimentare solo per il 19%».

«E’ opportuno sottolineare che il maggior aumento dei prezzi registrato nel Sud non deve essere confuso con il caro vita. Vivere al Nord – spiega Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre – è molto più gravoso che nel Mezzogiorno. Altra cosa, invece, è analizzare, come abbiamo fatto noi, la dinamica inflattiva registrata in questi ultimi dieci anni. La maggior crescita dell’inflazione avvenuta nel Sud si spiega con il fatto che la base di partenza dei prezzi nel 2002 era molto più bassa rispetto a quella registrata nel resto d’Italia. Inoltre – prosegue Bortolussi – a far schizzare i prezzi in questa parte del Paese hanno concorso anche il drammatico deficit infrastrutturale, la presenza delle organizzazioni criminali che condizionano molti settori economici, la poca concorrenza nel campo dei servizi e soprattutto un sistema distributivo delle merci molto arretrato e poco efficiente».

Un altro segnale, l’ennesimo, di una economia estremamente fragile e senza i giusti controlli che in Calabria stenta a diventare concorrenziale e, di conseguenza, costituisce un ulteriore freno allo sviluppo di una regione che in questo momento deve lasciarsi dietro le sacche di cattiva gestione per tentare di rimettere in moto il proprio motore e agganciarsi al resto della nazione.

Inoltre, un ulteriore dato testimonia anche un altro fenomeno di cui bisogna necessariamente tenere conto nell’analisi della situazione dell’economia calabrese, perché ad una inflazione così elevata non ha corrisposto nei dieci anni in questione un analogo incremento delle retribuzioni medie il che significa in sostanza che il potere d’acquisto dei calabresi si è progressivamente eroso rendendo, di fatto, la regione sostanzialmente più povera.

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