Gratteri e Nicaso
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La metafora del campetto e del rispetto delle regole in un romanzo per i ragazzi; Intervista a Nicaso sul libro scritto con Gratteri
«La Calabria può cambiare ma dipende da noi. Dobbiamo assumerci più responsabilità. Non possiamo pensare che i problemi li risolvano gli altri. Le cose si cambiano se ciascuno di noi fa la sua parte». Vale anche per la Calabria il finale aperto di “Senza scorciatoie”, un romanzo di formazione scritto dal procuratore Nicola Gratteri e dallo storico Antonio Nicaso, edito da Mondadori. Un’opera dall’indubbia valenza pedagogica, che è un po’ la prosecuzione di quell’attività di coscientizzazione che Gratteri e Nicaso svolgono da tempo, incontrando molti studenti ai quali spiegano come si stanno evolvendo le mafie. Un controcanto rispetto alla mitizzazione di personaggi negativi che vanno tanto di moda. Pensiamo alle serie tv di successo come Gomorra.
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Il romanzo, destinato a un pubblico di ragazzi di scuola media, focalizza la presa di coscienza da parte del protagonista. Luigi è un ragazzo come tanti che passa le sue giornate davanti allo schermo della tv o di un telefono. Inizialmente incapace di accettare il cambiamento, è disorientato dalla nascita di un centro culturale in un contesto in cui tutti sono convinti che “il cambiamento porta guai specialmente se viene da fuori”. Accanto al centro culturale viene costruito un campo da calcio. Un campo vero, con l’erba e gli spalti. I nuovi arrivati portano volantini, fogli colorati e una maglietta con la scritta “Chi sogna di giorno sa cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte”. Una citazione da Edgar Allan Poe che contribuisce a scardinare equilibri consolidati e a far immaginare una nuova realtà. Fondamentale anche la figura dell’educatore Bernardo, una sorta di alter ego che scardina equilibri consolidati. Ne abbiamo parlato col professor Nicaso.
Che valenza ha la citazione di Poe sulla maglietta? Sognare significa alterare equilibri?
«Siamo partiti dalla nostra infanzia in una terra difficile come la Calabria, dove l’unica cosa che potevi fare per affrancarti dal bisogno era sognare. Sognare qualcosa di importante. Io sognavo come i miei coetanei di segnare un gol nella finale di Champions League. Un giorno un insegnante mi disse che sapevo scrivere. E da quel momento in poi ci ho creduto. Ho sognato di fare lo scrittore in una casa in cui c’erano libri. Il sogno è importante nella crescita di un ragazzo. Bisogna sognare in grande per avere un obiettivo da raggiungere».
“Il silenzio è mafia” è un’altra frase chiave del libro. Questa volta la citazione è di Peppino Impastato. Una figura importante nel libro, specie quando irrompe sulla scena Bernardo, l’educatore che spiega che la mafia non è invincibile. E gli ricorda la capacità di Impastato di prendersi gioco delle mafie…
«Quella dell’educatore è una figura che abbiamo costruito sul modello dei nostri insegnanti, che quando raccontavano storie ci entusiasmavano. I nostri nonni, poi, ci facevano sognare a colori quando neanche c’era la tv a colori. Abbiamo pensato a un educatore che racconta attraverso storie l’impegno civile, facendo capire che bisogna fare qualcosa per combattere l’apatia, l’indifferenza. Gli ignavi sono la categoria peggiore, come ci ricorda Dante. Abbiamo messo assieme pezzi della nostra infanzia, per cercare di far capire che i sacrifici rendono liberi, che non bisogna usare scorciatoie, che bisognava impegnarsi. Ai giovani basta poco se si riesce a fare gruppo. Questa l’idea da cui siamo partiti quando abbiamo pensato a un libro per ragazzini delle medie. Mi auguro che lo leggeranno, e che a partire da questo testo possano riflettere sul loro ruolo per cambiare il loro territorio e la loro vita».
«Difficile spiegare ai giovani che le mafie non sono state ancora sconfitte e continuano a imperversare nonostante siano state fondate nella prima metà dell’Ottocento. Non volevamo farlo col linguaggio dello storico o del magistrato. Invece, l’idea da cui siamo partiti è quella di invitare i giovani a fare gruppo perché non c’è alternativa allo stare insieme. Senza entrare nel merito delle sconfitte di chi è chiamato a combattere il fenomeno mafioso. Un fenomeno che non si combatte soltanto con manette e sentenze, che non va visto come problema di ordine pubblico ma anche culturale. Ecco perché serve un cambio di passo coinvolgendo tutti in una battaglia di libertà e civiltà. Da qui la metafora del campetto, dello stare assieme, del giocare seguendo le regole».
Luigi è particolarmente colpito dalla storia di Rita Atria, che era poco più grande di lui quando si ribellò al sistema mafioso. Sulla sua tomba la testimone di giustizia Piera Aiello fece incidere la frase “La verità vive”. Bernardo sottolinea che di Rita resta l’esempio…
«Bernardo racconta tante storie per far capire l’importanza dell’impegno e della partecipazione. Quello che ha fato Rita Atria è importante, perché si è schierata anche contro la sua famiglia, nel desiderio di stare dalla parte giusta, dalla parte della consapevolezza e non del condizionamento e dell’indifferenza. Questo scuote Luigi. Ma è una di tante storie, una goccia che come altre contribuisce a far maturare una nuova consapevolezza. Anche la sua amica del cuore fa riflettere Luigi, lo aiuta a non farsi bocciare. Bernardo inizialmente viene visto con sospetto come colui che viene da fuori. Ma è proprio lui che lo convince ad affrancarsi dal condizionamento del cugino, a non cedere alle tentazioni. Alla fine vince il senso di comunità grazie alle storie che racconta Bernardo».
Narrazioni che vanno tanto di moda, dalla serie di Gomorra in poi, mettono al centro personaggi negativi. Questo libro si focalizza su esempi e storie di lotta. Tra i modelli citati da Bernardo due giornalisti come Impastato e Siani. C’è una frase di Siani, citata sempre da Bernardo, che dice che i giovani possono cambiare il mondo se vengono informati. La mafia è un modo di pensare?
«La mafia è un modo di pensare e di fare. Il conflitto è tra il male e il peggio se si vive in un contesto di marginalità e di desertificazione scolastica e non si ha mai avuto la possibilità di leggere un libro. Invece, i giovani hanno bisogno di figure positive, quelle che fanno venire la voglia di studiare di più. Se si hanno di fronte solo figure negative, il discrimine è tra chi spara meglio e chi spara peggio. Pensiamo a Scampia, che non è solo spaccio di stupefacenti, perché là c’è gente che lotta e resiste».
Luigi a un certo punto ha paura perfino di andare a giocare perché teme che il cugino Anthony possa impedirglielo. Anthony vuole impedirgli di fare squadra e di giocare secondo le regole?
«Il cugino di Luigi ha paura che quei giovani che vengono da fuori possano condizionare un contesto in cui deve regnare l’indifferenza. Le novità fanno paura, specie se qualcuno fa capire che c’è una via d’uscita. Un magistrato come Rocco Chinnici è stato tra i primi a capirlo. Partecipava al consiglio di classe, trovava il tempo di andare nelle scuole e ne coglieva l’importanza».
Il finale è aperto. “Tutto può cambiare. Dipende solo da noi”. Vale un po’ per tutto il Sud. Che futuro attende la Calabria?
«Dipende da noi, dobbiamo assumerci più responsabilità. Non possiamo pensare che i problemi li risolvano gli altri. Le cose cambiano se ciascuno di noi fa la sua parte».
«Quando abbiamo pubblicato “La mafia spiegata ai ragazzi” avevamo in mente l’idea di un linguaggio semplice, per i ragazzi delle elementari. Anche perché questi temi non vengono mai affrontati, né alle elementari né alle medie né alle superiori. Abbiamo fatto un lavoro simile in un altro libro per spiegare la Costituzione ai ragazzi. Il romanzo è la prosecuzione di questo impegno, che ci porta spesso nelle scuole a riflettere con i ragazzi. Ragazzi che spesso ci scrivono. Sono piccole soddisfazioni che ci fanno capire l’importanza di una scelta. Non è un libro per dire “no alle mafie”, ma “no alle ingiustizie”. Perché le mafie creano ingiustizie sociali, che sono la conseguenza della presenza mafiosa nei territori».
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