Una foto di scena del film tv “Lea”
4 minuti per la letturaIeri sera su RaiUno, in prima serata, è stato mandato in onda il tv movie “Lea” firmato da Marco Tullio Giordana, il regista de “I cento passi”, per raccontare la vera storia di Lea Garofalo, interpretata da Vanessa Scalera oggi celebre protagonista della serie tv “Imma Tataranni sostituto procuratore”.
Una bella scelta quella del servizio pubblico, replicare il film tramesso nel 2015 alla vigilia della data in cui era scomparsa a Milano inghiottita dalla violenza familiare e mafiosa.
E oggi a Milano si terrà una fiaccolata organizzata da Libera che partirà dall’Arco della Pace, in quel luogo dove le telecamere della videosorveglianza l’hanno mostrata per l’ultima volta incamminarsi verso il suo amaro destino, e si concluderà a viale Montello, nel giardino antistante alla casa dove Lea ha vissuto, in uno spazio degradato e oggi recuperato al bene comune e dedicato alla sua memoria.
Lea Garofalo è stata seppellita al cimitero monumentale di Milano per aver dato lustro alla capitale economica d’Italia, così fu deciso dal sindaco Pisapia che portò a spalla la sua bara il giorno dei suoi funerali trasmessi anche in diretta televisiva.
Lea Garofalo era nata nel 1974 a Pagliarelle, frazione di Petilia Policastro, borgo di minatori e ‘ndranghetisti troppo poco noto nelle sue violente mutazioni antropologiche. Arroccate su una frazione di Petilia Policastro che puoi raggiungere solo in automobile facendoti strada sue vie strettissime circondate da palazzine non finite. Qui vivono circa duemila anime figlie di una miseria antica.
Pagliarelle edificata da pastori della transumanza che qui costruirono povere case. La corrente elettrica fu allacciata nel 1958. L’acqua corrente in casa è arrivata nel 1964. Negli anni Settanta era ancora un borgo rosso in cui il Pci otteneva l’ottanta per cento dei consensi elettorali. Terra di minatori che hanno scavato le gallerie di mezzo mondo lottando con dignità per i loro diritti e lasciando grandi testimonianze civili come quella del sindacalista Pietro Mirabelli, morto in Svizzera dopo aver dato filo da torcere nei cantieri dell’alta velocità toscana, ma senza che nessuno se ne accorgesse è diventata anche terra di pistoleri, di faida e il credo comunista si è dissolto sostituito dai guadagni della droga.
Era di Pagliarelle anche Vito Cosco, 27 anni all’epoca dei fatti, che a Rozzano nel 2003 per un debito di “fumo” ammazza due giovani rivali ma con la pioggia di proiettili recide il filo della vita anche ad un povero pensionato a spasso con il cane e ad una bambina in braccio alla mamma. Vito è il cugino di Carlo Cosco il compagno di Lea e padre di sua figlia Denise, la ragazza che ha svelato il tremendo misfatto.
Lea Garofalo aveva solo otto mesi quando le ammazzarono a Capodanno papà Antonio per la trentennale faida che la sua famiglia sostenne con i Mirabelli e che sceglie le ricorrenze migliori per rovinare ai parenti le feste di famiglia. Alla funebre lista va contato anche il fratello di Lea, Floriano, ucciso in un agguato nel 2005, quando la donna ha già accettato di essere protetta dallo Stato per la sua collaborazione. Per la vita di Lea, papà Antonio sarà solo una vecchia foto. Per questo motivo si tatuerà la lettera A sulla mano cercando di esorcizzare quel drammatico destino.
Ma Lea Garofalo è stata anche una ribelle che non accetta il codice della ‘ndrangheta, ma neanche le rigide regole che cambiano la vita di chi collabora con la giustizia. Lea, orfana di padre, che a scuola era studiosa, ma troppo vivace e che per questo motivo portava avvisi alla mamma Santina che doveva ascoltare le ramanzine di maestre e professori. Santina la mamma bidella che dalla casa in cima allo stradone che porta nel vicino bosco non si è mai spostata, e che dopo aver pianto un marito e un figlio ammazzato ha dovuto anche celebrare il funerale irreale di Lea senza il suo corpo, solo con il suo ricordo. Figli cresciuti con nonni contadini. Lea ragazzina che alla sorella maggiore Marisa chiede: «Ma tu hai mai ricevuto un regalo da papà? Mamma a me non ne ha mai fatto uno». Lea se ne andrà da questo mondo uccisa dalle regole dell’ominità brutale.
Restano le sue foto che la ritraggono sorridente al mare come un’istantanea uscita da una canzone di Rino Gaetano. La quotidianità felice di una cucina, il viaggio in treno con un amico, la foto ricordo con la figlia a Venezia. La sorella ricorda la risata coinvolgente e l’immagine solare. Lea aveva un’ampia collezione delle opere di Fabrizio De Andrè, uno che ha detto: «Dall’ingenuità possono nascere dei piccoli miracoli, o anche delle grandi stronzate». Lea Garofalo ha fatto la più grande stronzata della sua vita a fidarsi di Carlo Cosco. Ma ha anche costruito un piccolo miracolo. Per la figlia Denise che si spera vivrà meglio e che ricorderà i doni che ha ricevuto.
Archiviando le faide di questi Montecchi e Capuleti di povere comunità. Ne hanno distrutto il corpo. Ne resta il ricordo. Le hanno intitolato strade, dedicato canzoni e film. Fra un secolo a chi si chiederà chi era Lea Garofalo, forse qualcuno risponderà: «Una donna che ha aiutato la Calabria a sconfiggere la ’ndrangheta». Resta il ricordo e i suoi luoghi. Quelli di una moderna eroina calabrese.
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