L'incontro nell'aula magna del liceo Pitagora
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Prosegue con la giudice di sorveglianza Antonini e l’assistente sociale Loprete il ciclo di Pedagogia antimafia e liceo Pitagora di Crotone
CROTONE – «Dalle mafie storiche si può uscire». Lo ha detto Laura Antonini, presidente del Tribunale di sorveglianza di Catanzaro, intervenendo al seminario sulla giustizia riparativa nell’ambito del ciclo di Pedagogia antimafia avviato da UniCal e liceo classico Pitagora di Crotone. Un tema spinoso. Perché l’associazione mafiosa è un reato permanente e diversi collaboratori di giustizia hanno affermato, per esempio, che dalla ‘ndrangheta si esce soltanto con la morte o pentendosi. Ma la speranza non deve morire.
«Dobbiamo credere al reinserimento sociale, non possiamo essere categorici nelle nostre preclusioni – ha precisato Antonini rispondendo agli studenti – La Consulta dice che presunzioni assolute stridono con l’articolo 27 della Costituzione. Non possiamo escludere che un mafioso esca da un percorso criminale. Sicuramente non è facile uscire da una organizzazione mafiosa. Bisogna guardare alla storia criminale del reo e in questo ci aiuta la Direzione distrettuale antimafia. Alcune situazioni marginali sono conciliabili, per esempio, con misure alternative alla detenzione. Tutto questo è possibile per un mafioso? Sì, è possibile. È facile? No».
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MISURE ALTERNATIVE
Dopo aver spiegato in cosa consiste il lavoro del magistrato di sorveglianza, chiamato a pronunciarsi sulla concessione e la revoca delle misure e delle pene alternative alla detenzione in carcere (affidamento in prova, semilibertà, liberazione anticipata, detenzione domiciliare, liberazione condizionale, differimento della esecuzione delle pene), Antonini ha precisato che il Tribunale non lavora da solo. «Pedagogisti, assistenti sociali, psicologi, sono tutte professionalità che concorrono allo studio della personalità del condannato, così da provare a comprendere cosa ci sia dietro il suo gesto criminale. Davanti al Tribunale di sorveglianza – ha aggiunto – si valuta la vita, la storia del reo, il contesto sociale di provenienza ma, soprattutto, la sua capacità di reinserimento».
GIUSTIZIA RIPARATIVA
Antonini si è soffermata a lungo sulla rieducazione a cui mira la giustizia riparativa. «La giustizia riparativa – ha tenuto a sottolineare – è nata a Catanzaro dove si sono registrate le prime sperimentazioni con il magistrato Beniamino Calabrese». Facendo esempi sul campo, Antonini ha spiegato come il tessuto sociale lesionato dal reato possa essere in qualche modo ricostruito attraverso forme di riparazione del danno.
«Quello della giustizia riparativa è un concetto ampio che comprende le attività di riparazione sociale. Qui a Crotone, per esempio, molti vengono mandati a lavorare nei parchi per la loro pulizia. Altre volte sono state usate le professionalità specifiche della persona. Per esempio, un barbiere, a Catanzaro, veniva mandato a svolgere il suo lavoro in casa dei disabili. Molti altri detenuti hanno competenze informatiche importanti che possono essere riutilizzate. In altri casi si può far uso della mediazione penale, che avviene tra chi commette il reato e la sua vittima, mettendo il reo davanti al dolore che ha causato. Si tratta, in questo caso però, di un processo complicato perché si rischia la vittimizzazione secondaria».
EMERGENZA CARCERI
Uno dei tasi più dolenti toccati da Antonini è quello della drammaticità della situazione delle carceri. «In Calabria, anche se abbiamo livelli alti di sofferenza, non si registra il problema sovraffollamento come in altre regioni. Altrove ci sono addirittura i turni per dormire. Papa Francesco parla di società dello scarto. Per la società sono queste persone lo scarto. L’altra grande criticità è rappresentata dagli stranieri, persone che vengono da territori diversi e raccontano situazioni complesse. Bisogna quindi ricostruire la loro storia. Molti sono scafisti, ne ho conosciuto uno senza un braccio. Sono situazioni che richiederebbero altro approccio, i mediatori culturali possono aiutarci, alcune realtà sono troppo distanti da noi. Ma lo Stato, da questo punto di vista, è carente. Il carcere è tante cose ma, se si vuole, può diventare un luogo di riscatto». Dai laboratori di scrittura a quelli di pasticceria sono tante le storie di riscatto che Antonini ha proposto agli studenti.
LE REMS
Tra i tanti problemi che affliggono l’esecuzione della pena nel nostro Paese e nel distretto della Corte d’Appello di Catanzaro, uno dei settori più critici è quello del trattamento dell’autore di reato affetto da infermità di mente. In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Catanzaro è emersa la drammaticità della situazione nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Nonostante sia trascorso ormai un decennio dall’abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari, le soluzioni adottate sono insufficienti.
Nel territorio del Distretto ci sono soltanto due strutture destinate a servire tutta la Calabria: una nel Cosentino, a Santa Sofia d’Epiro, l’altra a Girifalco, in provincia di Catanzaro. Entrambe le strutture sono state progettate per ospitare 20 pazienti, dunque sono previsti 40 posti complessivi in un vasto territorio. Questo significa che molte persone che dovrebbero essere ricoverate nelle Rems sono detenute in carcere, altre restano libere nonostante la pericolosità.
«La Rems – osserva Antonini – è riservata agli autori di reato affetti da disturbi mentali e socialmente pericolosi. Ma per quei detenuti ai quali vengono diagnosticate patologie psichiatriche in carcere, la legislazione non prevede un’alternativa al carcere stesso. Così la Rems è solo per chi è in misura di sicurezza e le carceri sono piene di malati psichiatrici che destabilizzano la vita di una intera sezione. Parliamo di soggetti con patologie psichiatriche gravissime, uomini e donne per cui non c’è posto nella società libera».
Antonini ha raccontato anche un caso limite. «A Catanzaro un paziente era affetto da una patologia per cui mangiava tutto quello che vedeva. Ciò richiedeva ricoveri d’urgenza con conseguenti interventi chirurgici che, sul lungo periodo, avrebbero causato problemi gravi. Abbiamo interpellato tutta Italia, non si trovava nessun posto per lui. Per fortuna, il padre ha dato la disponibilità ad accudirlo. Ma questo non è giusto, doveva essere la società a seguirlo».
REINSERIMENTO SOCIALE
Temi che spesso la magistrata affronta in osmosi con Rossella Loprete, assistente sociale e funzionaria presso l’Ufficio delle esecuzioni penali di Catanzaro. «L’uomo – ha detto Loprete – non è il suo reato, questo bisogna ricordarlo sempre. Per questo è importante ricostruire il percorso della persona, comprendendo se ci sono dei margini su cui poter lavorare per il suo reinserimento. Al centro di questo percorso non c’è il reato ma la consapevolezza da cui nasce il cambiamento. Per il reinserimento sociale – ha aggiunto – è fondamentale il lavoro, perché in sua assenza, di fronte a situazioni disperate, il reo tende a reiterare l’atto criminale. A ciò si aggiunga che è sempre fondamentale contestualizzare i fenomeni». Ma il reinserimento lavorativo non è qualcosa di semplice. «Non sempre i territori, specie i nostri, sono pronti ad accogliere per pregiudizio il reo. I territori devono aprirsi al mondo esterno. Una vita si può ricostruire ma la società deve ammettere la possibilità di una seconda chance».
SCUOLA INCLUSIVA
La dirigente scolastica Natascia Senatore, nell’aprire i lavori, ha ricordato che il percorso di studio sulla scuola della Costituzione è inserito nel progetto Barbiana 2040, che guarda al modello di don Milani e alla sua idea di scuola inclusiva. «Quello dell’educatore è un lavoro che chiede molto, ma che dà molto ed è basato sulla centralità di quella parola che, come diceva il Priore, ci fa eguali», ha evidenziato. La professoressa Rossella Frandina, che ha coordinato gli studenti coinvolti nel ciclo seminariale, ha sottolineato come il monitoraggio civico sul reinserimento sociale degli ex detenuti rientri in una «pratica di libertà capace di mettere al centro l’ uomo, con la sua colpa e la sua capacità di cambiamento. È questo il valore formativo della scuola – ha detto ancora – quella di Socrate, quella di don Milani, una scuola maieutica e generativa di cambiamento sociale». «Il recupero educativo – ha concluso Giancarlo Costabile, docente di Pedagogia antimafia dell’UniCal – ha a che fare con i deboli. L’educazione non può accettare irrecuperabili. In una società a trazione capitalista, in carcere spesso si trovano gli ultimi, non le classi dirigenti responsabili di una società della disuguaglianza. Le carceri sono un luogo di sofferenza, sono una risposta necessaria ma iniqua per giustificare condotte di supremazia».
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