La nave umanitaria fermata a Crotone
INDICE DEI CONTENUTI
- 1 Professor Carolei, in cosa consiste il focus della sua ricerca sulle Ong?
- 2 Difficile intervenire in termini legislativi?
- 3 Lei viene da Crotone, terra crocevia dell’immigrazione, dove navi umanitarie sono state sottoposte a fermo amministrativo dopo i salvataggi. Ma proprio di recente il Tribunale ha revocato il fermo della nave di Sos Humanity stabilendo, forse, un precedente per la «evidente compromissione allo svolgimento di indifferibili attività a carattere umanitario»…
CROTONE – Le Ong? «Devono essere lasciate libere di fare il loro lavoro. Meno male che ci sono. Se non ci fossero, nel Mediterraneo i morti sarebbero 150mila all’anno, non 10mila»: ne è certo il 36enne crotonese Domenico Carolei, professore di Diritto pubblico e Diritto pubblico internazionale all’università di Stirling, in Scozia, che domani, al Parlamento europeo, presenterà il suo libro su “Ong e il diritto: autoregolamentazione e accountability” (edita da Routledge) nell’ambito di un’iniziativa del gruppo S&D alla quale interverranno anche la vicepresidente Pina Picierno, il capodelegazione del Pd, Brando Benifei, il vicepresidente del gruppo Pd alla Camera, Toni Ricciardi.
Il lavoro, frutto di una ricerca iniziata da Carolei ai tempi del dottorato presso l’università di Aberdeen, sempre in Scozia, e già presentato in Canada, Olanda, Germania, viene ora discusso nel luogo in cui potrebbe tradursi in proposta normativa. Tra i temi al centro della ricerca accademica di Carolei c’è, infatti, la proposta, già oggetto di un report della Commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo, di istituzione di un difensore civico internazionale per le Ong. Una proposta già promossa dal governo olandese, senza che ci sia stato un seguito concreto. Per Carolei, che studia le Ong da anni, si tratta di «un progetto ambizioso, ma va definita l’effettiva giurisdizione e chi finanzia».
Professor Carolei, in cosa consiste il focus della sua ricerca sulle Ong?
«Il lavoro trae spunto dalla tesi del mio dottorato di ricerca. In seguito ad alcuni scandali a livello globale, le Ong hanno iniziato a perdere di credibilità. Penso allo scandalo sugli abusi sessuali attribuiti ad operatori di Oxfam ad Haiti o alle denunce contro il silenzio del Wwf sulle violenze sulle popolazioni di pigmei in Camerun. Mi sono chiesto cosa può fare il diritto per prevenire questo problema di perdita di credibilità. La verità è che a nessun governo piace cosa fanno le Ong, che nella gran parte dei casi si comportano da guardiani del diritto, e spesso si usa la legge come arma a doppio taglio per cercare di silenziarle o per impedirgli di fare il loro lavoro. In India sono stati bloccati finanziamenti esteri perfino all’ente fondato da Madre Teresa di Calcutta. In Italia e nel Mediterraneo le Ong vengono criminalizzate perché salvano migranti. Ma è un trend globale».
Difficile intervenire in termini legislativi?
«Assolutamente sì, perché le Ong operano all’interno di spazi in cui il diritto si fa ambiguo, eppure spesso erogano più servizi di Paesi come il Bangladesh o altri. Sono attori che si muovono in acque internazionali, che sono come una terra di nessuno, in cui gli Stati sono spossessati di funzioni. In passato si è provato con codici di condotta a limitare il “potere” delle Ong. Io propongo di utilizzare strumenti come quelli che già ci sono per le multinazionali e di avvalersi di requisiti di trasparenza e di organismi terzi che scrutinino le condotte. La presentazione al Parlamento europeo ha una valenza particolare, l’auspicio è che la questione del difensore civico internazionale si traduca in proposte normative anche se è una cosa molta complessa, ma già farne parlare è importante».
«Penso sia l’affermazione di un principio importante. La mia è una formazione forense, mi sono laureato in Giurisprudenza all’UniCal e mi sono abilitato anche se non ho mai esercitato la professione di avvocato preferendo occuparmi di diritti umani e di ricerca. Bisogna lasciare libere le Ong di fare il loro lavoro, in maniera trasparente; se non ci fossero, morirebbero non 10mila migranti l’anno in Mediterraneo, ma 150 mila. Le istituzioni di tutta Europa dovrebbero essere più attente a un’urgenza di fondo che è semplicemente quella di salvare vite».
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA