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Giuseppe Caruso e Manuela Arminio

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Attraverso l’intervista a Giuseppe Caruso, il racconto di un modello culturale “Libreria Libera” creato assieme alla moglie Manuela Arminio e che ha preso vita a Petilia


Dice: “Sto lavorando dalle quattro del mattino”.
Giuseppe Caruso è stata una scoperta. Proprio nei giorni in cui la piccola Petilia Policastro, conosciuta per le sue grotte,  finiva sui giornali nazionali: il Comune aveva fatto un manifesto di condoglianze per l’uomo che sciolse nell’acido Lea Garofalo. Travolto dalle polemiche, il sindaco aveva chiesto scusa, citando Peppino Impastato: “La mafia è una montagna di merda”. Cercavo di capire meglio, e in Rete ho trovato loro: Giuseppe e la moglie Manuela Arminio.

Nessun giornale nazionale ha mai scritto di questo piccolo modello culturale e artistico nato nel vicolo di un paese, fra case comprate e regalate. Per raccontare la “Libreria Libera” arrivano invece le tv e le scuole, e sui social i numeri sono alti, segno di una condivisione che va oltre i media tradizionali. Giuseppe e Manuela sono petilini, hanno girato e lavorato in tutta Europa, per poi tornare qui. Lui insegna disegno e storia dell’arte, lei ha una piccola scuola d’inglese: ma per paradosso, fanno le cose più importanti fuori dall’orario di lavoro. Si parla con lui, perché lei è fuori, ma la voce è solo una, stanno insieme da quando avevano sedici anni.

Che posto è Petilia?

«Un paese non è come lo vedi, ma come lo vivi. Ora sto dipingendo, mi piace il giallo, un giallo che va sull’arancio, come il sole che entra. E mi piace che ci si possa scrivere anche sopra le frasi più belle».

Che posto è Vico Leone?

«Si trova nella parte più antica di Petilia. Il posto in cui sono tornato dopo Catanzaro, Firenze, Berlino. Ho lavorato per anni come designer multimediale. Continuo a viaggiare, ma riporto le mie conoscenze in un paese che ha bisogno di tutto. A Firenze l’arte la tocchi, non c’è bisogno di gente come noi. Qui sì. Due case le abbiamo acquistatene, e due ce le hanno regalate. Non sono vecchie, ma antiche: anche del ‘400».

Qual è la ragione della sua popolarità?

«Ho fatto quello che molti cittadini sognano di fare per tutta la vita: tornare nel posto in cui sono nati. Ho provato mille lavori, ho speso tutto e sono felice. Ma per vivere qui devi essere forte. E se al mattino, uno mi augura buongiorno dall’Australia quando da lui è sera, vuol dire che ho raggiunto qualche risultato».

Com’è cominciata questa storia?

«Durante il Covid, mi è passata davanti sul web la foto di una bambina che innaffiava. E ho deciso di rifarla sul muro. La gente non poteva uscire ma osservava, e magari passava qualcosa dalla finestra. Mesi dopo, un paesano ha detto a mia moglie: siete voi che innaffiate i nostri figli per farli crescere. A poco a poco le case sono rifiorite di colori, fino a una segnalazione prestigiosa della Rivista Street Art Utopia, che ha inserito un mio murale fra i sei più emozionali al mondo».

Ha rilanciato perfino il gioco della campana, una sfida ai tempi dello smartphone.

«Un giorno è successo un fatto bellissimo. Sentivo dei passi sul vicolo, da una finestra socchiusa mi sono goduta la scena: un’anziana che poggia la borsa e si mette a saltare sui numeri dipinti da me».

E che succede nella Libreria libera?

«Arrivano le scuole, i bambini possono consultare le pubblicazioni, portarsi a casa i libri. Abbiamo seimila volumi, ci ha aiutato molto La Nave di Teseo, ma anche gli scaffali sono stati donati».

E che cosa dicono i vicini di casa?

«Uno mi ha detto: grazie alla vostra scuola vediamo bambini. Questo è stato un posto morto per tanti anni».

C’è un asse con la Germania.

«C’è sempre stato… da qui sono partiti in molti, li chiamiamo germanesi. Mia zia Rosita Caruso insegna all’Università popolare di Hamm, da trent’anni lì. Ha raccontato la mia storia, gli studenti hanno fatto un video per ringraziarci». 

Vedo sui muri ali e farfalle…

«Le ali sono i bambini del paese che non ci sono più. La farfalla è la poetessa Piera Maietti, che passa spesso da queste parti, e ha chiesto che i suoi versi fossero arredo urbano, manifesto e segno di buon vivere. Il volo di una farfalla come una ballata».

Basteranno i murales? Una corrente di pensiero dice che ormai in Calabria ce ne sono troppi, e servono solo a coprire il degrado.

«Non facciamo solo quello, il nostro messaggio è anche la rivalutazione dell’artigianato, che era scomparso. Lavoriamo alla scuola del legno, facciamo lezioni serali. Non sapete quale patrimonio abbiano nelle mani molti abitanti di queste zone. Abbiamo aperto da poco, siamo entusiasti ma impreparati, e di sicuro non ci montiamo la testa. Sogniamo che la nostra esperienza venga clonata ovunque, ma per ora il messaggio è solo uno: quest’estate venite a trovarci».

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