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Alcuni momenti delle riprese del docufilm di Mimmo Calopresti

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Il regista Mimmo Calopresti, autore del docufilm sul naufragio di migranti Cutro: «Su quella barca c’era il mondo. Ci siamo accorti di loro. Ma si può fare meglio»


CUTRO – «La Calabria potrebbe accoglierli tutti». Parola di Mimmo Calopresti, alle prese con il montaggio del suo docufilm sul naufragio di Cutro. «Sono agli ultimi controlli», dice il, mentre trova il tempo di rispondere al Quotidiano per parlare di immigrazione e di «soluzioni che non si trovano anche se sono dietro l’angolo». Con “Cutro, Calabria, Italia”, il regista originario di Polistena un senso riesce a trovarlo, raccontando la Calabria come terra di accoglienza.

Quella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, il caicco Summer Love, partito da Izmir, in Turchia, con oltre 180 persone a bordo, si schiantò contro una secca e naufragò davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro mentre il mare era in tempesta: persero la vita 94 migranti, tra i quali 35 minorenni; sei sono ancora dispersi. Calopresti ripercorre sia gli sforzi delle popolazioni e delle istituzioni locali, l’impegno nel tentativo di recuperare vite mentre il mare restituiva soltanto salme, ma ricostruisce anche le vicende dei superstiti e di chi non ce l’ha fatta. Il film documentario – prodotto dalla Calabria Film Commission e realizzato da Silvia Innocenzi e Giovanni Saulini per Alfa Multimedia – sarà presentato, il 29 luglio, in anteprima mondiale, alla 21esima edizione del Magna Graecia Film Festival, sezione “Sguardi di Calabria” e in autunno sarà trasmesso sulla Rai.

Calopresti, il naufragio di migranti Cutro ha suscitato un’attenzione mediatica mondiale perché, a differenza di tante stragi silenziose avvenute al largo, nel Mediterraneo, vedere tutti quei corpi sulla spiaggia faceva percepire l’entità della tragedia. Cosa è stata Cutro?

«È andata esattamente così. Improvvisamente, c’è stato un momento di risveglio collettivo. Se ne sono occupati tutti, dalla politica al pescatore che cercava di tirare fuori cadaveri dal mare. Tutti si sono sentiti chiamati in causa di fronte a questa realtà che prima sfuggiva anche dalle pagine dei giornali e qualche volta diventa normalità. Vedere tutti quei cadaveri, tutte quelle bare bianche con tanti bambini, ha suscitato ttenzione anche alle storie di queste persone. Tutti dimenticano le storie, io ho cercato di provare a metterle al centro. Se non capiamo le storie, non capiamo perché i migranti si muovono, vanno via dai loro Paesi, hanno bisogno di arrivare da qualche parte. Altrimenti i migranti diventano solo una foto di sbarchi, qualcosa di secondario, invece i loro racconti sono prioritari».

Il 26 febbraio 2023 l’Italia si è improvvisamente accorta che Cutro non è solo terra di ‘ndrangheta, ma un esempio di coesione e solidarietà. Ne ha parlato perfino Mattarella nel discorso di Capodanno…

«Mattarella è stato anche a Crotone, a visitare le bare al Palamilone. Cutro non è solo ‘ndrangheta, è un luogo della Calabria, un luogo del mondo. La ‘ndrangheta è qualcosa da combattere, da raccontare anche, il cinema può farlo benissimo, per esempio, ma bisogna capire le complessità dei luoghi. In quella barca c’era il mondo. Cutro è anche questo. C’era una ragazza scappata dall’Afghanistan a 19 anni perché là le donne non possono studiare e cercava un mondo migliore. Cutro è un mondo migliore rispetto alla vita che lei faceva in Afghanistan, anche se è stata un luogo di passaggio nell’odissea dei migranti. C’era anche gente venuta dagli Usa, è incredibile come in una barca si concentri il mondo».

Calopresti, c’è spazio nel suo film per riflessioni sulle politiche dell’accoglienza dei migranti?

«Ho preferito concentrarmi sulle storie, ma in fondo si parla anche di questo. Sogno una Calabria come quella che vedo a Roccella, dove le persone che arrivano vengono accudite, e anche a Crotone, dove dopo che gli sciagurati sono stati allontanati la macchina dell’accoglienza funziona bene. In fondo, l’accoglienza è anche un’occasione di lavoro per tanti giovani. Se costruiamo un’accoglienza decente, pulita, costruiamo un mondo migliore. Questo sistema potremmo organizzarlo meglio perché ci sarebbe posto in tutta la Calabria, una terra ormai in via di spopolamento».

Dopo Cutro, però, si continua a morire…

«Questo è il grande problema, non si trovano soluzioni anche se sono dietro l’angolo. Sono ancora pochi i corridoi umanitari e sulle coste libiche sarebbero necessari controlli internazionali. La gente dovrebbe essere imbarcata in traghetti normali, non in bagnarole fatiscenti, e bisognerebbe creare le possibilità di farla andare dove vuole andare. È un movimento inarrestabile, finché nel mondo ci saranno posti in cui si muore di fame o di sete o di diritti che non possono svilupparsi».

E poi c’è la doppia profezia di Pasolini, che ha raccontato sia Cutro come “il paese dei banditi” sia Alì dagli occhi azzurri e quanti come lui «Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, a milioni, vestiti di stracci, asiatici, e di camice americane»…

«Pasolini è stato più veloce di tutti noi a capire il mondo. È incredibile come il cinema possa fare questo. Col suo linguaggio poetico aveva descritto il “paese dei banditi” così come Alì dagli occhi azzurri sbarcato a Crotone. Sono stato nei giorni scorsi a Casarsa, per una mostra sul Vangelo secondo Matteo, le cui scene furono in parte girate a Cutro e Crotone. Ho visto foto di Pasolini sul mare crotonese. La gente scopre adesso questo rapporto con la Calabria di Pasolini, un profeta che vedeva tutto prima».

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