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Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera

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ISOLA CAPO RIZZUTO (KR) – È stato scelto il cactus come simbolo del IX raduno nazionale dei giovani in Calabria, a Isola Capo Rizzuto.

“Pungi, fiorisci e rigenera” è il messaggio che Libera affida ad una terra ancora profondamente martoriata dalla presenza della ’ndrangheta. In che modo, don Luigi Ciotti, possiamo mettere in pratica questi tre punti?

«Pungere significa esercitare la coscienza critica, studiare e approfondire, non accontentarsi mai dell’informazione generica, di seconda mano, sbrigativa o superficiale. Fiorire vuol dire che la critica deve diventare proposta. Mai fermarsi ai “no!”, oggi tanto di moda. Se qualcosa ci sembra ingiusta dobbiamo spiegare perché lo è e proporre un’alternativa giusta e utile al bene comune. Le proposte sono i fiori che devono crescere accanto alle spine delle critiche, fiori che certo non mancano nella splendida terra di Calabria. Infine rigenerare, che va inteso anche come rigenerarsi. Il cambiamento implica il diventare il cambiamento che si desidera, richiede una coerenza radicale tra parole e atti. E implica anche il coraggio dell’autocritica, la coscienza dei limiti e degli errori. La vita è un processo di continua nascita e cambiamento, e le persone e le realtà che non si rigenerano finiscono per degenerare».

Da tanti anni, ormai, Libera cerca di sollecitare la politica a produrre un cambiamento vero in Calabria e ogni volta bisogna fare i conti con un immobilismo che continua a produrre corruzione e a lasciare inalterati i centri di potere criminali. Borsellino diceva che la rivoluzione si fa nelle urne, perché secondo lei questa rivoluzione è così difficile da attuare?

«Ogni vera rivoluzione è difficile da realizzare. Aveva certo ragione il grande Paolo Borsellino, ma aggiungerei che la rivoluzione non si fa solo nelle urne, anche se in una democrazia il voto politico è un momento molto importante. La rivoluzione, cioè il cambiamento radicale, implica un cambiamento di costume, di mentalità e di pratiche. Cambiamenti che chiamano in causa un impegno su svariati ambiti: sociale ed economico, culturale ed educativo. Un vademecum per un cambiamento di quella portata ce l’abbiamo già e da più di 70 anni: la nostra Costituzione. Se fosse stata attuata, l’Italia sarebbe un Paese fondato davvero sul lavoro, la giustizia e l’inclusione sociale. Una democrazia sostanziale in cui mafie e corruzione non avrebbero spazio».

Le grandi inchieste giudiziarie, i maxiprocessi dove emergono con chiarezza le collusioni tra criminalità e politica. Don Luigi, che momento storico è quello che vive attualmente la Calabria?

«Un momento in cui occorre recidere una volta per tutte queste collusioni tra crimine organizzato, massoneria “deviata” e politica. Problema, beninteso, non della sola Calabria. L’evoluzione del fenomeno mafioso in senso imprenditoriale, la sempre maggiore penetrazione delle mafie nel tessuto economico – penetrazione favorita da un sistema che consente profitti al di là di ogni limite e regola – ha fatto sì che oggi ci sia una profonda osmosi tra le mafie e la cosiddetta società civile e che sia sempre più difficile distinguere tra crimine organizzato, politico ed economico. È arrivato il momento di voltare pagina, di recidere queste collusioni e complicità, di restituire alla politica la dignità e la funzione che dovrebbero esserle proprie».

Fare memoria, ricordare le vittime innocenti di ’ndrangheta e farlo attraverso le preziose testimonianze dei familiari, costruire percorsi di legalità attraverso le singole esperienze che diventano memoria collettiva. In che modo possiamo fare di più e meglio?

«Facendo sempre più di quelle singole memorie non solo una memoria ma un impegno collettivo. Quelle memorie sono spine di cactus da cui non dobbiamo smettere di farci pungere affinché ci spronino a generare fiori, cioè forme di bellezza e di vita, di verità e giustizia».

Don Luigi, è ancora vivo in tutti noi, l’impegno di Gino Strada per gli ultimi anche in Calabria. Eppure la sua morte è stata accompagnata da un assordante silenzio da parte della maggior parte della politica. Cosa abbiamo perso con la scomparsa di Strada e cosa ci lascia in eredità.

«Gino era un amico che ha condiviso con “Libera” tratti di percorso. Con la sua opera coraggiosa in scenari di guerra ha offerto una testimonianza alta e concreta di responsabilità sociale e civile, quella responsabilità da cui ciascuno dovrebbe sentirsi pungolato perché il male e l’ingiustizia prosperano non solo a causa dei malvagi e degli ingiusti, ma anche grazie a coscienze che sono troppo quiete, indifferenti o distratte. E come vale per l’Afghanistan o per altri scenari di guerra o di dittatura, vale anche per le terre infestate dai poteri criminali. È quest’inquietudine che diventa impegno l’eredità scomoda che Gino ci lascia e che è nostro compito custodire e mantenere viva».

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