X
<
>

Share
4 minuti per la lettura

MELISSA – Risale a 44 anni fa la prima ordinanza di sospensione dei lavori dell’ecomostro di Melissa, venuto giù con 400 chili di dinamite soltanto domenica scorsa. Lo Stato non è rimasto con le mani in mano per oltre 40 anni. Almeno una parte di Stato. La vicenda dell’ex mobilificio confiscato alla ‘ndrangheta presenta molti aspetti controversi. C’è sicuramente da esultare per la giornata storica, come hanno fatto le autorità e i cittadini appena quell’orrendo palazzone di sei piani, a cui l’occhio si era quasi assuefatto, si è polverizzato. Ma molti interrogativi restano in piedi su quello che non è stato fatto in tutto questo tempo. Il Quotidiano è in grado di ricostruire il complesso iter nei dettagli.

Il 15 novembre 1979 il sindaco di Melissa era Fortunato Albo. Fu lui a emettere un’ordinanza di sospensione dei lavori senza concessione edilizia comunale e diffida a demolire le opere abusive. Ovvero un “fabbricato con seminterrato e piano terra sulla strada statale 106 della frazione Torre Melissa”. Destinatario del provvedimento era Costantino Mangeruca, ritenuto un prestanome del “locale” di Cirò anche se era originario di Africo. L’ordinanza fu reiterata il 21 gennaio 1980.

L’8 ottobre 1980 Mangeruca si becca anche una contravvenzione in seguito a un sopralluogo dell’ufficio tecnico comunale che constata l’esecuzione di lavori di costruzione di un “fabbricato e sopraelevazione di un primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto piano con la superficie di circa mq. 945 per piano, 15 colonne in cemento armato, con relativa copertura fino al piano quinto, e sesto piano coperto per la metà”. L’Ufficio tecnico di Melissa era, infatti, in possesso del progetto approvato dal Genio Civile di Catanzaro l’11 luglio 1979 ma sprovvisto di autorizzazione edilizia da parte del Comune.

Il 10 ottobre 1980 il sindaco di Melissa è Giuseppe Bonessi: è lui a emettere un’ulteriore ordinanza con la quale ordina alla ditta Mangeruca di sospendere immediatamente i lavori del fabbricato, con diffida che, in caso di inadempimento, si sarebbe proceduto a norma di legge. Il 3 ottobre 1980 il Comune di Melissa invia, per i provvedimenti di competenza, al pretore di Strongoli l’ordinanza e il verbale di accertamento di cui sopra.

Gli anni passano senza che accada nulla di significativo. Si arriva così al 14 agosto 1986. Vigilia di Ferragosto. Ma qualcuno non è in vacanza al Comune di Melissa, che comunica a Mangeruca che non poteva dare inizio ai lavori in quanto la pratica del condono era carente di documentazione. Il 24 aprile dello stesso anno un vigile urbano compila un rapporto informativo rilevando che i lavori erano proseguiti con la tamponatura e l’intonaco del fabbricato.

Gli anni passano, i sindaci cambiano. Ci devono pensare però i carabinieri del Comando provinciale di Crotone e la Dda di Catanzaro a sequestrare l’immobile ormai andato in malora, ma non per abusivismo edilizio. Il pm Pierpaolo Bruni in quegli anni aggredisce una dopo l’altra le principali cosche del Crotonese, anche sotto il profilo patrimoniale.

Ne fa le spese anche Mangeruca, ufficialmente falegname, ma il cui tenore di vita appare sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati se a lui e ai suoi familiari è riconducibile un impero da 30 milioni di euro: è considerato, infatti, una delle galline dalle uova d’oro della cosca Farao Marincola ma anche l’anello di congiunzione tra clan del Crotonese e del Reggino. I sigilli su appartamenti, locali commerciali e industriali, magazzini e garage sparsi tra Melissa, Africo e il Milanese vengono apposti dai militari dell’Arma, al termine di complessi accertamenti, il 7 novembre 2007. La Sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale penale di Crotone ne ordina la confisca il 19 novembre 2009 (diverrà definitiva nel 2012).

L’immobile continua a marcire ma nessuno interviene. Il 3 febbraio 2023 il Comune trasmette un progetto di fattibilità tecnica ed economica alla Regione Calabria per la demolizione e la realizzazione di piazzole di sosta per i camper. Il governatore Roberto Occhiuto mette a disposizione una somma di 700mila euro. Ci si accorge però, in fase di affidamento dei lavori, che l’Agenzia nazionale per la gestione dei beni sequestrati e confiscati, quando trasferì il bene al Comune, nel 2015, si era dimenticata di consegnare due piani. I carabinieri fanno pressing istituzionale e si arriva al trasferimento lampo al Comune degli ultimi due piani e all’aggiudicazione dei lavori alla ditta crotonese Lavorazioni stradali.

Dalla prima ordinanza di demolizione alla gara per l’abbattimento, espletata dalla Stazione unica appaltante della Provincia di Crotone il 21 luglio scorso su richiesta del Comune, sono passati, dunque, 44 anni. Si sono succedute dieci consiliature dalla costruzione dell’ex mobilificio. Alla guida del Comune si sono alternati sette sindaci (alcuni di loro sono stati rieletti). Il sindaco che incassa con ovvia soddisfazione lo storico risultato è Raffaele Falbo.

A parte l’assonanza con il suo predecessore, Fortunato Albo, che firmò la prima ordinanza di demolizione, c’è da rilevare un paradosso: è imputato di concussione mafiosa e il suo Comune è sotto accesso antimafia. Ma ha offerto la massima collaborazione ed era felice come una Pasqua, domenica scorsa. L’ecomostro di Melissa c’era già quando lui era ancora un bambino. Ha ragione da vendere quando dice che una cicatrice è stata levata dal volto della sua città.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE