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L'ospedale di Crotone

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L’incredibile storia di una donna affetta da coxartrosi in ospedalizzazione forzata a Crotone. Non si trova una struttura per curarla

CROTONE – Da un mese una donna di 61 anni che soffre di coxartrosi è ricoverata all’ospedale San Giovanni di Dio di Crotone che non ha strumenti e competenze per trattare la sua patologia e non riesce a individuare una struttura attrezzata che possa aiutarla. Ma è da giugno che, tra entrate e uscite, la donna è stata più in ospedale che a casa. L’incredibile situazione che questa donna sta vivendo, di fatto ospedalizzata cronica nonostante l’età non avanzata, è forse riconducibile a complessi ingranaggi della macchina sanitaria che meriterebbero di essere oliati. Il rischio è quello di sprofondare nell’inerzia se non nell’immobilismo. Cioè la paralisi. Intanto, si acuiscono le piaghe da decubito che nascono dallo stare fermi. La paziente va così incontro a ipotrofia e atrofia muscolare perché non riesce a camminare. E l’ospedalizzazione forzata la indebolisce sempre di più, facendole perdere massa muscolare.

LA VICENDA

La coxartrosi (o artrosi d’anca) è una condizione di usura della cartilagine della fossa acetabolare e della testa del femore, che non permette più il movimento agevole delle due ossa, in quanto entrano in contatto diretto tra loro, provocando dolore. Tutto nasce quando, presso una clinica della zona, convenzionata con il Servizio sanitario nazionale, alla donna viene impiantata una protesi alla gamba destra. Dalla stessa gamba parte un’infezione che sfocia in una setticemia. Necessario il trasferimento all’ospedale – siamo a giugno 2024 – perché il chirurgo che l’aveva operata nella clinica convenzionata non è in quel momento in regione. La donna rientra a casa lo scorso ottobre senza aver recuperato pienamente le funzioni motorie. 

NUOVO RICOVERO

A dicembre sua figlia, che risiede in Nord Italia, torna in Calabria per trascorrere con la famiglia le vacanze natalizie.  Ma sua madre sta di nuovo male. Avverte febbre e dolori acuti alla gamba sinistra, quella non operata. Il 7 gennaio viene di nuovo ricoverata all’ospedale di Crotone, dove si trova attualmente. L’ospedale informa i familiari della paziente che non ha gli strumenti e le competenze per curarla e annuncia che sta per dimetterla, ma «senza aver indicato una soluzione», denuncia sua figlia. La famiglia si oppone alle dimissioni e chiede all’ospedale di mettere a disposizione personale competente fino a quando non sia decorso il quadro di patologia grave. Intanto, i familiari della donna contattano l’ospedale più vicino che non ha posto per accoglierla.

I TENTATIVI

Alcuni medici dell’ospedale a quel punto si attivano per individuare una struttura attrezzata che curerebbe la donna, fuori regione, senza però ricoverarla. A carico della famiglia sarebbero pertanto le spese per il trasporto fuori regione in ambulanza e la permanenza presso una struttura socio-assistenziale idonea. Una struttura che dovrebbe essere individuata dalla paziente o dai congiunti, i quali dovrebbero accollarsi anche i costi di un piano di cura.

L’APPELLO

La storia è questa. Forse è una storia che racconta difficoltà di comunicazione tra medici della stessa regione e di altre regioni. Perché all’odissea sanitaria della paziente si aggiunge il calvario burocratico a cui è sottoposta la figlia. «Il Servizio sanitario nazionale è macchinoso e non è chiaro sulle procedure da applicare soprattutto per i poveri ammalati, familiari e caregivers che si sentono confusi e soli, non supportati – dice al Quotidiano la figlia della paziente – Ci sono stati dei tagli alla sanità che hanno favorito le visite ambulatoriali a discapito dei ricoveri anche quando ce ne sarebbe bisogno – aggiunge – e c’è uno sgravio di responsabilità da far paura: quando la situazione si fa complessa si vuole mollare la patata bollente». No alla deresponsabilizzazione degli ospedali, insomma. Questo è l’appello.

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