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L’ospedale San Giovanni di Dio di Crotone

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CROTONE – «Dall’istruttoria è emersa la mancanza di qualsivoglia approfondimento diagnostico da parte dei sanitari, determinatisi ad operare sulla base di un non meglio identificato sospetto volvolo gastrico (patologia rara) emerso soltanto in termini dubitativi, sconfessato da plurimi accertamenti medici e non corroborato dall’equivoca sintomatologia».

Si conoscono i motivi per i quali tre medici sono stati condannati per lesioni colpose ai danni di Vito Vona, il paziente crotonese che denunciò di avere subito l’asportazione indebita dello stomaco dopo essere stato operato due volte. Il giudice Elisa Marchetto tre mesi fa dispose condanne a 1 anno e 6 mesi di reclusione ciascuno per l’ex primario del reparto di Chirurgia dell’ospedale San Giovanni di Dio Giuseppe Brisinda e per Maria Michela Chiarello, e a 8 mesi per Giuseppina Peta.

Pena sospesa per tutti. Il giudice dispose anche la condanna al risarcimento del danno da quantificare in sede civile riconoscendo una provvisionale di 50mila euro. Alle richieste si era associato l’avvocato di parte civile Francesco Manica, che ha contribuito a far emergere la tesi dell’accusa, secondo cui, in cooperazione tra loro, i chirurghi dell’équipe guidata da Brisinda avrebbero, sulla base della diagnosi errata di sospetto volvolo gastrico, sottoposto il paziente a antropilorectomia e successivo ripristino della continuità alimentare.

Sarebbe stata errata, sempre secondo l’accusa, la terapia chirurgica consistente nel contestuale ripristino della continuità gastrointestinale ma anche della gastroresezione non essendo stato individuato il volvolo gastrico. Tutto ciò avrebbe determinato la perdita irreversibile della funzionalità dello stomaco con progressivo rallentamento del transito gastrointestinale.

La storia di Vito Vona, che da tempo sui media e sui social denuncia la sua odissea sanitaria, inizia sei anni fa, quando, accusando dei dolori, viene ricoverato all’ospedale pitagorico per una presunta malformazione dello stomaco. Dopo aver effettuato vari esami, il primario decide di operarlo praticando una resezione parziale dello stomaco.

L’intervento sembra essere riuscito, e invece il paziente accusa di nuovo dolori, non riuscendo nemmeno ad alimentarsi. Vona si sottopone a un secondo intervento – questa volta effettuato al Marrelli Hospital – dove gli vengono chiuse due porte erniarie. Dopo due mesi ricomincia a stare male: ritorna alla clinica privata pitagorica, ma la trova chiusa per le vicende legate al budget sanitario. Decide di ritornare all’ospedale San Giovanni di Dio da Brisinda, il quale gli prescrive una seconda scintigrafia da effettuare nel nosocomio crotonese, che conferma quella di Milano: gastroparesi severa.

A questo punto i medici decidono di rimuovere totalmente lo stomaco, con un intervento eseguito nell’agosto 2017. Vona viene dimesso e, dopo qualche mese, viene contattato dal chirurgo che lo opera nei due interventi all’ospedale di Crotone. «Ancor più censurabile – aggiunge il giudice Marchetto nelle motivazioni – è la scelta di proseguire nell’intervento di tipo demolitivo, praticato su un organo insuscettibile di rigenerarsi in un soggetto di giovane età, pur dopo aver riscontrato de visu che non solo Vona non presentava alcun volvolo ma che non aveva alcuna patologia macroscopicamente evidente».

Secondo il giudice sussiste pertanto un nesso tra l’intervento e la lesione insorta nel periodo post-operatorio. Insomma, sempre secondo il giudice, che ha analizzato la complessa istruttoria nel corso della quale sono state depositate varie perizie, se i medici si fossero attenute alle linee guida che i chirurghi avevano il dovere di conoscere e applicare avrebbero praticato un intervento conservativo o comunque non sarebbero radicalmente intervenuti.

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