Il blitz dei carabinieri
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Quattro arresti grazie al pentito Aloe braccato il commando che fece la strage al ristorante di Cirò Marina. Un omicidio come “regalo”
CIRÒ MARINA – Grazie alle rivelazioni del pentito Gaetano Aloe, i carabinieri hanno arrestato quattro persone tra presunti componenti del commando e organizzatori dell’agguato per la strage al ristorante “l’Ekò” dell’agosto 2007 in cui rimase gravemente ferita anche una bimba che la vittima predestinata, Vincenzo Pirillo, teneva sulle gambe. Alla sua prima “cantata” davanti al pm Antimafia Domenico Guarascio, Aloe si autoaccusò di aver ucciso per vendetta Pirillo, l’uomo che aveva assassinato suo padre, il boss Nick Aloe, nel 1987, perché i vertici della cosca gli fecero questo “regalo”, tanto che dopo il delitto scalò le doti della gerarchia della ‘ndrangheta e venne “promosso” col grado di “vangelo”. Ora finiscono in carcere quattro pezzi grossi della cosca Farao Marincola, dominante nel Cirotano e nel Cosentino jonico. Si tratta di Franco Cosentino, di 51 anni, Martino Cariati (45), Vito Castellano (61) e Palmiro Salvatore Siena (68). Lo ha disposto la gip distrettuale di Catanzaro Marilena Sculco su richiesta dei pm Domenico Guarascio ed Elio Romano, che hanno coordinato le indagini dei carabinieri del Ros di Catanzaro e dei loro colleghi del Reparto operativo di Crotone.
4 ARRESTI PER LA STRAGE DI CIRÒ MARINA, I RUOLI
Aloe e Cosentino sarebbero entrati in azione a bordo di uno scooter indossando caschi e collant rosa sul viso, coi fori all’altezza degli occhi. Avrebbero raggiunto il ristorante e, sollecitati da Siena, che aveva notato l’obiettivo predestinato mentre cenava con altre persone, si sarebbero introdotti nell’affollata veranda del locale. I killer fecero fuoco all’impazzata. Aloe avrebbe sparato con una pistola calibro 38, Cosentino con una 9×21. Almeno tre colpi attinsero la vittima, due alla nuca e uno alla regione labiale. Dopo la scarica, Cosentino sarebbe scivolato nella concitazione del momento. Martino e Siena sono ritenuti organizzatori essendosi fatti latori delle direttive del boss Cataldo Marincola, già condannato all’ergastolo in primo grado per aver dato l’ordine di uccidere. Altri presunti mandanti e organizzatori come i capi storici del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, Giuseppe e Silvio Farao, e Giuseppe Spagnolo, cognato del pentito, sono stati, invece, assolti. Ma gli imputati assolti potrebbero essere inguaiati nei successivi gradi di giudizio da elementi emersi nella nuova inchiesta, frutto di nuove rivelazioni di collaboratori di giustizia e del riascolto di alcune intercettazioni. Nel fuggi fuggi generale, quella drammatica sera d’estate sei persone vennero ferite, tra cui la bimba. Pirillo morì in ospedale a Crotone.
IL MOVENTE
Il movente sarebbe da ricondurre alla riaffermazione della leadership interna alla cosca cirotana da parte dei vertici dopo che Pirillo, a cui era stata affidata la reggenza in assenza dei capi detenuti, era sospettato di mala gestio degli introiti illeciti del clan e di essersi occupato in proprio del narcotraffico senza versare i proventi alla cassa comune. Ma Aloe aveva un movente tutto personale. «Ti faccio un bel regalo, te la senti di ammazzare “Cenzo”?», gli chiese Marincola. Aloe è figlio di Nicodemo detto “Nik”, ucciso nel 1987 in un agguato spartiacque perché da allora assunsero il comando i fratelli Giuseppe e Silvio Farao e lo stesso Marincola. A Pirillo sarebbe toccato eliminare chi era ritenuto, negli ambienti criminali, l’esecutore materiale dell’uccisione di suo padre. Un omicidio da compiere come “regalo”. L’ultimo tassello lo ha aggiunto proprio Aloe, che ha saltato il fosso quando già erano in corso due processi per il delitto Pirillo, uno col rito ordinario e l’altro col rito abbreviato.
4 ARRESTI PER LA STRAGE DI CIRÒ MARINA: LE RIVELAZIONI E L’INCONTRO
Aloe saltò il fosse nel marzo 2023. Al pm Guarascio rivelò che ciò che lo aveva indotto a dissociarsi della ‘ndrangheta fu il suo rifiuto, una volta uscito dal carcere, di uccidere Luca Frustillo, un delitto che era voluto dai vertici della consorteria. Così ha consentito di ricostruire gli assetti criminali del clan e si è autoaccusato di aver ucciso, oltre che Pirillo, anche Natale Bruno. Ha svelato, in particolare, che da sempre al vertice del “locale” di Cirò vi era stato Cataldo Marincola, e che in seguito al pentimento di Francesco Farao, figlio di Giuseppe, quest’ultimo era stato rimosso dal ruolo di capo nella “copiata”. Per “diritto di nascita”, essendo figlio di boss, avrebbe avuto accesso all’organizzazione partendo direttamente dalla “seconda” dote. Ma sarebbe stato promosso alla “terza”, quella di “vangelo”, proprio dopo l’uccisione di Pirillo.
Aloe avrebbe appreso dalla viva voce di Pirillo, peraltro cugino di sua madre, che questi era responsabile della morte del padre. Un omicidio che sarebbe maturato in seguito alla violazione delle regole di ‘ndrangheta poiché Nick Aloe intratteneva una relazione con un’altra donna, almeno secondo la versione di Pirillo. «Tuo padre ci ha disonorati». Gaetano Aloe in quell’incontro avrebbe dimostrato di non serbare rancore.
IL MANDATO E L’AGGUATO
Il collaboratore di giustizia si sarebbe autoaccusato di aver fatto parte del commando e di aver ucciso Pirillo e ferito sei persone tra cui la bimba. In un primo momento, uno dei plenipotenziari del clan, come Pino Sestito, avrebbe proposto l’omicidio a Giuseppe Spagnolo, che però rimase inerte. Aloe accettò l’incarico. Castellano gli avrebbe quindi consegnato un’arma e gli avrebbe chiesto di individuare un complice che lo coadiuvasse nella fase esecutiva. «Trovati qualcuno». «L’unico che voglio è Franchinuzzu».
Aloe avrebbe preso parte agli appostamenti propedeutici all’agguato, che non veniva ancora messo a segno perché Pirillo era particolarmente prudente quando notava la sua presenza. Sarebbe stato Siena, quella drammatica sera di agosto, a raggiungere Aloe a casa per segnalargli la presenza di Pirillo al ristorante. Sarebbe così giunto Cosentino con motorino, caschi e passamontagna (erano collant rosa con i fori all’altezza degli occhi, in realtà).
Dopo un primo giro di ricognizione, i due fecero irruzione nel locale da una veranda. «Prima ho sparato io. Due, tre botte. Poi Franco che è caduto a terra». I killer si allontanarono subito dopo l’azione. Cosentino lasciò Aloe nei pressi di casa sua. Il pentito scavalcò un muretto e trovò nell’abitazione Spagnolo. Aloe racconta anche che Spagnolo lo aveva redarguito per aver preso parte all’omicidio ma anche preoccupato che i sospetti potessero ricadere su di lui, all’epoca agli arresti domiciliari.
IL BATTESIMO
Aloe ha raccontato agli inquirenti anche il successivo incontro col mandante Marincola, allora latitante, che lo abbracciò ma lo redarguì per aver causato il ferimento di altre persone. Come “premio” fu pure organizzata una cerimonia per il conferimento di un nuovo grado criminale in un appartamento situato sopra un bar. In quella sede Aloe ricevette la terza “dote”. Al rito mafioso avrebbero preso parte Vincenzo Rispoli, Pino Sestito e i coindagati Castellano e Siena.
IL TATUAGGIO
I killer erano in possesso di tre pistole, che erano state nascoste a casa di una parente di Cosentino. Utilizzarono uno scooterone. Aloe, nonostante l’afa agostana, indossò una camicia con le maniche lunghe per coprire un vistoso tatuaggio. Agli inquirenti ha raccontato anche il particolare raccapricciante delle “scarpe da tennis” nuove. Dopo il delitto, era dispiaciuto di doversene disfarre.
4 ARRESTI PER LA STRAGE DI CIRÒ MARINA: GLI ALTRI PENTITI E LE INTERCETTAZIONI
Le rivelazioni di Aloe trovano conferme nel narrato di altri pentiti. Nicola Acri, “Occhi di ghiaccio”, esponente di vertice dei cassanesi, ha raccontato che Marincola intendeva uccidere Pirillo e che era irritato per l’atteggiamento esitante di Spagnolo. Francesco Farao, altro figlio di boss, perché suo padre è Giuseppe, il capo supremo del clan, conosceva molto bene Pirillo, suo padrino di battesimo. E ha confermato che Pirillo veniva incolpato, in ambienti criminali, di un’inappropriata gestione del patrimonio della cosca.
Già da intercettazioni eseguite nel 2007 emerge che Cosentino avrebbe chiamato un interlocutore a cui chiedeva se fosse morto “zio Cenzo”. L’interlocutore rispondeva che Pirillo si trovava a Crotone ed essendo ancora in vita aggiungeva che “era tutto apposto”. Poi Cosentino chiede un ulteriore aggiornamento e l’interlocutore stavolta risponde stizzito che si vedranno dopo cinque minuti. Anche il comportamento di Castellano appare sospetto. Il giorno prima dell’omicidio, lo stesso Pirillo avrebbe chiesto scherzosamente lumi a una persona che era con Castellano in auto. Quei due in auto erano tra quanti, secondo il pentito, stavano pedinando la vittima predestinata.
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