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Guardia di finanza

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Con 8 arresti colpita la famiglia Giardino, i cosiddetti bancarottieri delle cosche di Isola. Distraevano patrimoni per occultare la gestione di società del settore ferroviario


ISOLA CAPO RIZZUTO – Avrebbero commesso una serie di reati di bancarotta fraudolenta e riciclaggio per agevolare la cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto. Al mantenimento del clan avrebbe contribuito la famiglia Giardino, cellula al Nord del clan, i cui interessi sono soprattutto nel settore dell’armamento ferroviario e dell’edilizia. Per questo il Gico della Guardia di finanza, su richiesta della pm antimafia di Milano Bruna Albertini, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di otto persone firmata dalla gip del capoluogo lombardo Fiammetta Modica.

ISOLA COLPO AI BANCAROTTIERI DELLE COSCHE, GLI ARRESTI

In carcere sono finiti i fratelli Alfonso Giardino (48) e Stefano Giardino (35). Ai domiciliari Pasquale Filoramo (47); Ercolino Raso (52); Domenico Giardino (67); Antonio Giardino (47); Adriano Mirabelli (60); Salvatore Zangari (40).  Indagati anche Marco Giardino (29), Vincenzo Giardino 837), Pietro Riillo (68), Marco Trotta (28). Sono tutti originari di Isola Capo Rizzuto, tranne Mirabelli, nato a Petilia Policastro e residente a Crotone. Sequestrate somme per quasi due milioni e mezzo di euro nei confronti delle società Cf, Ires, Railway Construction, Linee Fer e degli indagati. L’aggravante mafiosa, in particolare, è stata riconosciuta per Domenico, Stefano e Alfonso Giardino, padre e figli. I reati sarebbero stati commessi in Lombardia, nel territorio tra Milano, Lodi e Varese, e nella zona di Sona, in Veneto, ma anche a Crotone e Isola Capo Rizzuto, al fine di coprire la provenienza illecita delle risorse della famiglia Giardino.

I PRECEDENTI

Le infiltrazioni nei cantieri di Rfi delle famiglie Giardino e Aloisio, ritenute vicine alle cosche di Isola, erano già emerse in altre inchieste della Dda di Milano che hanno portato a condanne anche in Appello per il presunto regime di monopolio nei subappalti delle costruzioni ferroviarie. Ai Giardino è riconducibile anche il “locale” di ‘ndrangheta di Verona già acclarato in via definitiva con la sentenza “Isola scaligera”. Una serie di circostanze che hanno indotto gli indagati a ricorrere a prestanome a cui intestare quote di nuove società con cui operare sul mercato di cui comunque mantenevano il controllo amministrandole di fatto.

ISOLA, L’INCHIESTA E GLI ARRESTI SUI BANCAROTTIERI DELLE COSCHE

Il nuovo procedimento scaturisce dal fallimento della Cf, operante nella manutenzione ferroviaria, e da interdittive antimafia emesse dalle Prefettura di Lodi e Verona. Significative, dal punto di vista degli inquirenti, le ricorrenti modifiche della sede societaria, da Isola alla provincia lodigiana, e della compagine sociale, che vedevano reiteratamente coinvolto Domenico Giardino, capostipite della famiglia. Dagli accertamenti è emerso un reticolo di rapporti parentali e intestatari fittizi al fine di dirottare il patrimonio tramite gestioni occulte. In particolare, le società Linee fer, amministrata da Stefano Giardino e di fatto gestita anche da Marco e Aflonso, Cf, amministrata formalmente e di fatto prima a Salvatore Zangari e fino al fallimento da Pasquale Filoramo, e Fer Cos in prosecuzione di Nicofer, Nord Fer, Cos Fer, Nwc, Fercostruzioni (per cui si procede separatamente), avrebbero compiuto reati fiscali (con l’annotazione di fatture inesistenti aventi ad oggetto il noleggio di mezzi e il distacco di personale e l’autoriciclaggio di risorse illecite) per ripulire il denaro da reinvestire in altre attività. Altre attività che spesso consistevano in appalti mascherati nel settore ferroviario per favorire la somministrazione di manodopera attraverso finti contratti di nolo dei mezzi con l’aggravante mafiosa e del riciclaggio internazionale.

8 ARRESTI A ISOLA, I RUOLI DEI PRESUNTI BANCAROTTIERI DELLE COSCHE

Le intercettazioni, secondo la ricostruzione della Dda milanese, consentirebbero di ricostruire il ruolo degli indagati. Domenico Giardino, in particolare, non lavorava più sui cantieri pur risultando addentro alle strategie aziendali. Era lui, per esempio, a rapportarsi col gruppo cosentino Ventura, già emerso in altre inchieste. Inoltre, sarebbe stato lui a ricevere con regolarità stipendi mensili essendo peraltro destinatario di somme da parte di Ercolino Raso. Somme poi reimmesse nella disponibilità di altri indagati. In particolare, per dare continuità alla Cf, ormai pregiudicata per le interdittive e i debiti erariali, sarebbe stata costituita la Fercos, formalmente intestata al 100 per cento alla moglie di Stefano Giardino che la gestiva di fatto col fratello Alfonso. Emergono anche i ruoli dei factotum come Mirabelli e Zangari, che affiancavano prevalentemente Alfonso Giardino nella gestione di entrambe le società. Rilevante è ritenuto il ruolo anche del commercialista Pietro Riillo, consulente di fiducia dei Giardino che si occupava anche della gestione sociale anche se a lui non è contestato un ruolo attivo nelle bancarotte. L’unicità della struttura amministrativa emerge anche dalla coincidenza dei dipendenti, come Trotta e Mirabelli.

PRODOTTI ITTICI

Tra le somme distratte quelle in favore della società di Ercolino Raso, Centro distribuzione prodotti ittici. Raso è il compagno di una sorella di Alfonso Giardino. Le somme sarebbero state spese per canoni di locazione della Cf, la cui sede era nella località Ventarola a Isola. Ma anche per il noleggio di macchinari per l’armamento ferroviario e le operazioni necessarie alla messa in opera di binari. Versamenti apparsi subito anomali agli inquirenti. Raso avrebbe sostanzialmente messo a disposizione le sue società per favorire condotte distrattive e realizzare obiettivi di riciclaggio.

INDEBITE COMPENSAZIONI

Accertamenti sono stati fatti su altre società del gruppo Giardino come Linee Fer e Railway, ammesse al credito d’imposta. La prima sarebbe stata una società cartiera utilizzata nei rapporti infragruppo per frodi fiscali. Sarebbero emerse anche contiguità dei commercianti che predisponevano preventivi e bozze di fattura al fine di attestare il possesso di mezzi mai acquistati o distratti dalle reali finalità dell’azienda. La seconda avrebbe utilizzato crediti in compensazione o inesistenti. Marco Giardino sarebbe stato l’amministratore di fatto di entrambe le società.

RAPPORTI COL GRUPPO VENTURA

Una miriade di fatture per operazioni inesistenti è finita sotto la lente della Dda di Milano. Dalla disamina degli atti emergono, in particolare, le fatture emesse da Cf nei confronti delle società del gruppo cosentino Ventura, tra i quali anche Maria Antonietta Ventura, presidente del cda dell’omonimo gruppo, già candidata da centrosinistra e Cinque Stelle alla presidenza della Regione Calabria e poi ritiratasi in seguito a un’interdittiva antimafia. Fatture aventi ad oggetto distacchi di manodopera e noleggi e vendita di beni per l’esecuzione dei lavori. I distacchi però avevano un oggetto generico ed in gran parte erano confezionati all’indomani della costituzione del rapporto di lavoro con delocalizzazioni sui cantieri. Le fatture erano necessarie per ottenere il credito d’imposta. In qualche caso inducendo in errore il Fesr che erogava contributi non spettanti per quasi un milione di euro. Così veniva ripulito il denaro proveniente dai reati per il suo successivo reinserimento nel mercato.

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