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I retroscena della truffa che ha portato al maxi sequestro da 2,6 milioni attuato dalla Dda di Bologna a partire dalla figura di Oppido e dallo schiaffo che gli diede il boss Nicolino Grande Aracri


CUTRO (CROTONE) – L’affare “Oppido”, una truffa ai danni del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, valeva 2,6 milioni. Il valore dei beni che la Dia di Bologna ha sequestrato a due imprenditori cutresi, Gaetano e Domenico Oppido, rispettivamente di 76 e 48 anni. L’affare sarebbe stato ideato da un faccendiere avvocato napoletano e prospettato alla filiale emiliana della cosca Grande Aracri di Cutro. Il Dicastero, con una sentenza falsificata a firma apparente di un dirigente di cancelleria che attestava un inesistente diritto risarcitorio, fu indotto ad accreditare una somma di oltre due milioni di euro a una società riconducibile alla famiglia di imprenditori cutresi.

Gli Oppido, appunto, da anni trapiantati nella provincia di Reggio Emilia e considerati contigui al sodalizio ‘ndranghetistico emiliano, tanto da essere condannati rispettivamente a 4 anni e 6 mesi e 8 anni e 3 mesi di reclusione nel processo Grimilde. Con pene recentemente confermate in appello. I sigilli sono scattati su terreni e immobili a Cutro e Cadelbosco di sopra. Ma anche su partecipazioni societarie nella Oppido spa e la Tecnoimmobiliare con sedi in Emilia. Avrebbero occultato immobili e quote anche attraverso operazioni ad hoc in Costa d’Avorio e Inghilterra.

LE PRESSIONI PER L’INCONTRO CON IL BOSS GRANDE ARACRI E LO SCHIAFFO A OPPIDO

Dalle carte dell’inchiesta della Dda di Bologna vengono fuori pressioni della camorra su quell’avvocato perché si precipitasse a Cutro, in contrada Scarazze, a casa del boss Nicolino Grande Aracri per dirimere una scottante questione di soldi. Romolo Villirillo, uno dei presunti “capi” al Nord, aveva già incassato 348mila euro a monte di un’operazione di crediti dormienti, strutturata da un operatore finanziario “a disposizione” che accreditava Iva entro società sane e capienti. Gli Oppido non sarebbero stati ai patti avendo pagato debiti e fornitori con parte di quel denaro.

A questo punto sarebbe entrato in azione Villirillo, tramite tra la cosca di Cutro e quella emiliana, col compito di controllare Domenico Oppido affinché non sottraesse denaro. Ma Villirillo avrebbe tenuto per sé 348mila euro. Inoltre, Villirillo si sarebbe recato da Grande Aracri per precisare che aveva incassato soldi non a nome del boss ma a nome suo. Cosa che fece arrabbiare ancora di più il padrino. «Non c’ero a questa riunione. Mi fu detto che quando Oppido fu chiamato nella discussione Grande Aracri gli diede uno schiaffo», svelò il pentito Salvatore Muto.

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