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CIRÒ MARINA (CROTONE) – Controllavano tutto. Ogni respiro nel territorio. Si sostituivano allo Stato se qualcuno aveva bisogno di chiedere “giustizia” in seguito a furti o danneggiamenti. E perfino le relazioni sentimentali potevano essere regolate dal “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, secondo quanto emerge dalle carte dell’inchiesta che ha portato all’operazione “Ultimo Atto”.
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In quelle carte c’è anche la denuncia, presentata ai carabinieri della Stazione di Cirò Marina, di un uomo che accusava due fratelli di percosse e lesioni perché sospettato di avere un legame con la fidanzata di uno di loro. La vicenda finisce al vaglio del presunto reggente del clan Luigi Vasamì, perché il diretto interessato si era rivolto agli affiliati chiedendo che il “rivale” venisse malmenato. Eppure due degli indagati, Luca Frustillo e Gianluca Scigliano, gli avevano detto che non era una questione di loro competenza. Vasamì, nel corso di una conversazione intercettata, sottolineerebbe, infatti, il suo disappunto per essere stato coinvolto nella vicenda: «e ora come si prendono il nome mio in bocca questi? Che l’ho fatto menare io…ha fermato Peppino Romano…che Gino Vasamì ha dato il via per menare a Tizio e Caio».
Scigliano, a sua volta, ribadirebbe che loro, in quanto ‘ndranghetisti, non si occupano di faccende del genere («e noi ci immischiamo in queste cose? Che ce ne frega a noi…roba di “cornerie” (tradimenti, ndr.) ci andiamo ad entrare noi?!… E ora davvero abbiamo perso proprio la dignità»). Il clan era dovuto intervenire per precisare che il pestaggio non poteva essere da loro autorizzato. Sarebbe stato Luca Frustillo a spiegarlo ai richiedenti. «Comunque io ora gliel’ho detto: “Noi non c’entriamo niente… che non ci interessa niente!”».
Ma per gli inquirenti è grave soprattutto che le vittime di reati si rivolgessero non agli organi istituzionali preposti ma agli affiliati alla cosca cirotana. Sarebbe il caso di un macellaio che, accompagnato dal “compare” Antonio Marincola, avrebbe interpellato il reggente della ‘ndrangheta. Una “tendenza” emblematica dell’egemonia della cosca nel territorio cirotano e che non a caso la gip distrettuale di Catanzaro Arianna Roccia definisce come «allarmante». Vasamì, come un buon inquirente, “riceve” la denuncia, secondo la ricostruzione dei carabinieri, pone domande alla vittima per chiarire circostanze, chiede se abbia eventuali sospetti sugli autori, dispone di verificare la presenza di eventuali sistemi di videosorveglianza che abbiano potuto riprendere il passaggio degli autori del reato. Propone addirittura all’uomo di «fare denuncia» (quella vera) poiché ritiene che gli organi istituzionali abbiano sul territorio delle «telecamere nascoste», che potrebbero aver ripreso i responsabili. La proposta provoca in Marincola una domanda: «poi se fai la denuncia… come lo tocca poi?». E Vasamì spiega che conviene agire solo se si è certi dell’identità dei colpevoli. Al macellaio avevano tagliato alberi d’ulivo, qualcuno aveva pure sparato al suo cane. E il reggente del clan chiede se abbia avuto «parole con qualcuno».
La questione diventa oggetto di un incontro al circolo Cbs Sestito, una base logistica del gruppo criminale, anche perché qualche giorno prima qualcuno ha danneggiato una statua in piazza, a Cirò Superiore, tant’è che Vasamì ipotizza che possano essere stati dei “tossici”. Ma c’erano anche richieste di interventi per recupero di refurtiva. Vasamì assicurava la risoluzione immediata. «Digli che hai parlato con noi, trova una squadra e ci va». Insomma, «ci avrebbero pensato loro». Una “squadra” di pronto intervento sarebbe stata messa a disposizione dalla cosca, anche perché il “denunciante” aveva premura dovendo partire per la Germania.
Altra vicenda al centro di summit è il furto di un trattore cingolato. In questo caso, però, il tono di Vasamì era ironico e ciò lascerebbe ipotizzare che i mandanti fossero proprio gli affiliati. «E mò vediamo se glielo ritroviamo». Era necessario il nullaosta” della ‘ndrangheta anche per aprire un negozio di ortofrutta, come emerge da un’intercettazione da cui si ricava che il commerciante ringraziava e mandava i saluti a “zio Gino”. Nel caso di rivendite di pane, però, il reggente era preoccupato che ricominciassero «le processioni dei re Magi», perché «tutta la gente di Cirò Marina vuole fare questo…». Un’attività molto ambita, e per eventuali dissapori da dirimere sarebbero andati tutti da lui e questo avrebbe attirato l’attenzione delle forze dell’ordine. Ma la cosca interveniva anche se c’era da allontanare una prostituta.
Una doppia morale, quella del clan, che puntava al consenso della popolazione ripristinando i valori, forse sarebbe meglio dire disvalori, dell’”onorata società”. «Se ne deve andare… la nera di là va tolta… l’acchiappo a calci nelle gambe». Già, perché pareva qualcosa di “brutto” la presenza di quella donna nella loro zona. La «zona nostra».
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