Gabriele De Tursi, il 19enne di Strongoli svanito nel nulla esattamente 9 anni fa, in sella alla sua Honda "Hornet 600"
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STRONGOLI – Ci sono almeno tre punti oscuri su cui le indagini sulla scomparsa di Gabriele De Tursi, il 19enne svanito nel nulla esattamente nove anni fa, non hanno fatto ancora luce. Li ripercorre, con dovizia di particolari, in un’intervista al Quotidiano, la mamma del ragazzo, Anna Dattoli, che ancora non si rassegna.
«Ci sono scomparsi di serie A e di serie B. Mio figlio non ha fatto male a nessuno, a Strongoli tanti sanno ma nessuno parla. Perché nessuno mi aiuta a ritrovare il corpo?». Questo l’appello che la donna lancia poche ore prima della messa che si tiene al duomo di Strongoli, oggi, alle 10,30, e a cui, in segno di vicinanza, partecipa Libera.
Subito dopo la funzione religiosa, una corona di fiori sarà deposta nel luogo in cui venne ritrovata, a nove mesi di distanza dalla sparizione, la moto del giovane. Una Honda “Hornet 600” abbandonata in aperta campagna, in un tratto da lungo tempo interdetto al traffico a causa di una frana.
I punti oscuri iniziano proprio da qui, e non contribuiscono a diradarli le intercettazioni confluite agli atti della mega inchiesta “Stige”, da cui si ricava soltanto che personaggi contigui, o presunti tali, alle cosche commentano l’ipotesi più atroce, allo stato ritenuta la più concreta dagli inquirenti, quella secondo cui De Tursi sarebbe vittima della lupara bianca.
L’incensurato, giovanissimo De Tursi si era cacciato in un giro più grande di lui o aveva visto qualcosa che non doveva vedere, tanto che qualcuno lo fece sparire? Interrogativi ancora in piedi. Ma andiamo con ordine.
LA LETTERA ANONIMA
A far ritrovare la moto, il 26 aprile 2014, fu una lettera anonima consegnata alla madre del ragazzo dal parroco della chiesa di Santa Maria della Salute, don Alfonso Siniscalchi. «Il sacerdote mi disse che la lettera la trovò sotto la porta della sagrestia. Ma è impossibile che la moto sia rimasta lì per tutto quel tempo. Era integra e pulitissima, non c’era manco un filo d’erba, al massimo sarà stata lì da una ventina di giorni dopo che qualcuno ce l’ha portata. È impossibile anche perché la zona fu sorvolata dagli elicotteri e le ricerche furono intense, nei giorni successivi alla scomparsa di Gabriele, e la moto sarebbe stata trovata subito se fosse rimasta sempre nello stesso posto».
«LA FIDANZATA SAPEVA»
C’è un aspetto su cui la signora Dattoli insiste molto. Fu insospettita dall’atteggiamento dell’ex compagna di suo figlio, di sette anni più grande di lui, che, il giorno della scomparsa, le telefonò per chiedere se Gabriele, che quel giorno aveva dimenticato il telefono uscendo da casa, fosse rientrato. Il ragazzo era uscito in moto poco dopo pranzo, la telefonata la signora Dattoli la ricevette intorno alle 17,30.
«Io ero in ospedale con mia madre che non stava bene, dissi che appena sarei rientrata le avrei fatto sapere. Alle 17,45 mi richiamò – prosegue la donna – e mi disse che era sotto casa, e se Gabriele non era tornato voleva dire che era morto, che l’avevano ammazzato. Lì per lì mi alterai, risposi dicendole che era impazzita. Ma come faceva – è l’interrogativo della donna – a tre ore dalla scomparsa, a sapere che mio figlio era morto? Me lo sono sempre chiesto».
LA SCHEDA SOSTITUITA
Ma c’è di più. «È ancora più strano – aggiunge – che quando la ragazza di mio figlio venne a casa, sempre il giorno della scomparsa, intorno alle 21,30, abbia sostituito la scheda del telefono. Perché lo fece? E perché agli altri parlava di incidente? Era una pista sbagliata, quella dell’incidente. Ma i carabinieri sanno tutto. Gratteri sa. Eppure nessuno mi ha mai fatto sapere se ci sono novità nelle indagini».
Ha voglia di parlare, la signora Dattoli, e il suo è anche un appello alla Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri. «Io non mi arrendo. A Strongoli tutti sanno che l’omicidio di mio figlio è stato commissionato da chi ha il dominio sulla zona», un riferimento, con ogni probabilità, alle famiglie di ‘ndrangheta egemoni nel territorio.
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