Bombina "Bina" Abossida
4 minuti per la letturaCRUCOLI (CROTONE) – Rapporti con i cartelli colombiani della droga, traffici di diamanti che portavano fino a Capo Verde, una relazione con un funzionario della Bnl che avrebbe omesso di segnalare versamenti anomali nel circuito antiriciclaggio. C’era questo e altre nelle carte dell’inchiesta che portò nel 2017 al sequestro antimafia – il primo di così ingente valore in Liguria – di un impero da cinque milioni di euro, comprensivo di villa con piscina e negozi di alta moda, tolto da carabinieri e finanzieri alla misteriosa Bombina Abossida, detta Bina, originaria di Crucoli ma trapiantata a La Spezia. Ma ora si aggiunge un nuovo sequestro di sette milioni, ritenuti provento del traffico internazionale di droga.
I sigilli sono scattati su complessi immobiliari in provincia di Crotone, citazioni societarie e conti correnti individuati in Svizzera, orologi, gioielli e preziosi d’ingente valore rinvenuti in una cassetta di sicurezza custodita in una banca elvetica, beni mobili e immobili nell’isola di Sao Tomè e Principe, in Africa Centrale, nell’isola di Palma di Maiorca, in Spagna, ma anche in Romania e Capo Verde. I carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale della Spezia hanno eseguito un nuovo decreto di sequestro preventivo emesso dal Tribunale della città ligure.
Gli investigatori sono partiti dalle rivelazioni di un collaboratore di giustizia, Antonio Femia, di Gioiosa Jonica, che fece luce sull’importazione dal Sud America di circa 800 chili di cocaina. Il carico, giunto a destinazione nel porto spezzino, era stato successivo stoccato in un garage nel centro della cittadina rivierasca, per essere poi venduto. A poche settimane dall’arrivo della droga alla Spezia, la vigilia del Ferragosto 2012, a Torretta di Crucoli, per motivi ad oggi ancora non chiariti, il fratello della donna, Santo, ufficiale di marina mercantile, venne freddato con tre pistolettate alla tempia, durante la processione per la festa della Madonna di Lourdes, mentre teneva il figlioletto in braccio.
Secondo gli inquirenti, l’uomo era divenuto referente della ‘ndrangheta nelle relazioni con i narcos. La donna venne indagata perché avrebbe detenuto, proprio in quel garage, i circa 800 chili di cocaina, cedendone una parte a esponenti di spicco della ‘ndrangheta. Ma le trame di “Bina” erano fitte: è stata indagata anche per riciclaggio, perché si sarebbe occupata del trasferimento di ingenti somme di denaro contante di provenienza illecita acquistando beni immobili, quote societarie, diamanti, gioielli, perfino quadri, tra cui un Bacco attribuito alla Scuola di Caravaggio, un capolavoro scoperto in un caveau di un Punto Franco. Parte delle somme sarebbero transitate su conti correnti bancari nazionali ed esteri appositamente accesi e in parte occultati in cassette di sicurezza o reimpiegati in svariate attività economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative in Svizzera, Romania, Capo Verde, Sao Tome e Principe e Spagna.
Sette milioni, dunque, da aggiungere ai cinque già sequestrati, dei quali la confisca è divenuta definitiva alla fine del 2020, a carico di un intermediario finanziario residente in Svizzera e originario della provincia della Spezia, che ha già patteggiato due anni di detenzione. Sarebbe il cassiere dell’indagata e del fratello defunto, che aveva costituito, a quanto pare, una società offshore in Belize, accendendo, attraverso essa, anche conti bancari a Lugano.
Non ci sono soltanto le dichiarazioni dei pentiti e delle persone informate sui fatti. Gli inquirenti hanno riascoltato intercettazioni eseguite nell’ambito dell’operazione Tremendo, condotta dalla Questura di Milano, poiché durante alcune conversazioni telefoniche “Bina” si sarebbe mostrata a conoscenza dei traffici del fratello. Santo e Bina, nell’agosto 2011, per esempio, parlavano di un viaggio che l’uomo avrebbe dovuto compiere con la sua flotta di velieri. E ancora, Bina, nel corso di una conversazione dello stesso periodo, avrebbe fatto un chiaro riferimento a traffici di cocaina e pietre preziose gestiti dal fratello. Con quegli ambienti la donna avrebbe mantenuto i contatti dopo l’uccisione del fratello, sempre secondo gli inquirenti, che hanno accertato le elevate disponibilità finanziarie di lei essendo stato compiuto, il 16 novembre 2011, a un mese dall’omicidio, nella sua abitazione, un furto di una somma in contanti di 39.500 euro e monili in oro per un valore di 50mila euro.
La donna avrebbe perfino gestito affari a Capo Verde grazie alla compiacenza di un bancario col quale aveva un rapporto sentimentale; si tratta di un funzionario della Bnl che le avrebbe consentito di introdurre denaro contante in ingente quantità nel circuito bancario senza fare segnalazioni. A gettare ombre sul business della famiglia Abossida anche una ragioniera commercialista che, appresa la notizia della morte di Santo, si presentò spontaneamente dalla polizia per denunciare la riconducibilità della notevole disponbilità di denaro ai traffici tra Sud America e Africa.
Nelle settimane scorse il Tribunale di Genova ha emesso una rogatoria finalizzata alla confisca dei saldi attivi sui conti bancari accesi su banche private di Lugano, ma anche di una villa sul lago, sempre a Lugano, e altre forme di investimento per valore stimato in circa nove milioni. Intanto, i carabinieri, con la collaborazione della polizia federale svizzera, si stanno occupando di trasferire i valori in Italia attraverso l’accredito sul Fondo Unico in cui confluiscono i rapporti finanziari e assicurativi sottoposti a sequestro penale o amministrativo oppure a confisca di prevenzione.
Gli inquirenti hanno ricostruito i flussi economico-finanziari degli ultimi due decenni dell’indagata e del fratello defunto, accertando così un’ingiustificata struttura patrimoniale, sproporzionata rispetto ai redditi dichiarati e ritenuta provento del narcotraffico internazionale. Una lunga battaglia legale, ingaggiata dai pm Antimafia in stretta collaborazione con gli organismi di cooperazione giudiziaria europei.
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