La conferenza stampa di presentazione dell'operazione
3 minuti per la letturaPOTENZA – C’è anche il genero di Ernesto Grande Aracri, Salvatore Romano, di 33 anni, tra le 28 persone finite in carcere, ieri mattina, nell’ambito dell’ultima inchiesta dell’Antimafia lucana sullo storico clan Stefanutti-Martorano, egemone sugli affari criminali di e dintorni Potenza (LEGGI LA NOTIZIA).
I nomi di Romano e del suocero, compaiono come mandanti di una tentata estorsione ai danni della ditta Salvaguardia ambientale spa di un altro crotonese doc, Raffaele Vrenna, ex patron della locale squadra di calcio.
A settembre del 2013, infatti, la Salvaguardia ambientale spa era subentrata nell’appalto quinquennale 5 milioni e 93mila euro per lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri prodotti dalle aziende sanitarie lucane. Quindi i suoi referenti erano stati avvicinati dal «reggente» del clan Martorano, Donato Lorusso, già arrestato nel 2015 e condannato in via definitiva a 3 anni e mezzo di reclusione per questo episodio. Nel 2017, però, sono arrivate le dichiarazioni di un altro Grande Aracri, Giuseppe Liperoti, genero di Antonio Grande Aracri, che ha confermato quanto dichiarato in precedenza da Natale Stefanutti, figlio del boss potentino Dorino, sui rapporti di Lorusso con la grande famiglia ‘ndranghetistica di Cutro.
In più ha indicato in Ernesto Grande Aracri e il genero di quest’ultimo, Romano, chi aveva autorizzato Lorusso a rivolgersi a un imprenditore come Vrenna. «Ormai erano diventati, tipo, una cosa sola». Così Liperoti ha descritto il rapporto tra il «reggente» del clan potentino Martorano-Stefanutti ed Ernesto Grande Aracri, fratello del superboss Nicolino “mano di gomma”. Ma negli atti dell’inchiesta dell’antimafia lucana ci sono anche altri episodi che testimoniano l’esistenza di un asse criminale tra Cutro e Potenza. Inclusa la partecipazione di Lorusso al matrimonio della figlia di Ernesto Grande Aracri, a cui avrebbe donato un anello “trilogy” da «2.650 euro», acquistato con assegni a nome di una terza persona, che ora risulta indagata per riciclaggio.
Già nel 2012, infatti, sarebbe stata registrata la presenza di Lorusso nella tavernetta della casa di campagna del superboss Nicolino, che ad altre persone riunite presentava il potentino come quello a cui «gli spararono» lo zio. Vale a dire quel Giuseppe Gianfredi, che venne trucidato con la moglie nel capoluogo lucano, ad aprile del 1997. E in un’occasione Lorusso si sarebbe prestato a portare al cospetto del superboss una coppia di imprenditori lucani da cui alcuni sodali del clan cutrese avrebbero voluto acquistare un capannone a Ferrandina, in provincia di Matera.
Il clan Martorano-Stefanutti, insomma, aveva: «solidi legami», consolidati nel corso degli anni, con alcune delle famiglie della ‘ndrangheta maggiormente accreditate sul territorio nazionale. Queste le conclusioni dei pm dell’Antimafia lucana, che ricordano anche gli storici rapporti con i Pesce-Bellocco di Rosarno. Nel tempo è stato intessuto «un consistente e duraturo rapporto di collaborazione criminale coltivato negli anni specie nel settore elettivo dei videogiochi – hanno spiegato gli inquirenti – per il quale la Dda potentina ha già svolto in passato altra indagine che ha portato nel corso di quest’anno alle prime sentenze di condanna, tra gli altri, nei confronti dello storico capo del clan calabrese, Nicolino Grande Aracri e di soggetti a lui vicini».
Altre proiezioni criminose extraterritoriali «risultano investire esponenti sia della mafia siciliana, legati al sodalizio dei Santapaola di Catania, sia di sodalizi e operativi in Puglia e Basilicata».
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