La festa per la remissione in libertà
2 minuti per la letturaTorna in libertà uno degli imputati del processo Jonny; dopo la scarcerazione, festa a Isola col neomelodico e fuochi d’artificio; i video sui social
ISOLA CAPO RIZZUTO – I fuochi d’artificio li hanno sentiti in tanti, l’altra sera, a Isola Capo Rizzuto. «Sembrava la festa della Madonna Greca», ha detto qualcuno. Ma era una festa che non aveva nessun carattere religioso. Era la festa per il ritorno a casa di Nicola Lentini, che ha finito di scontare la pena di 8 anni e 8 mesi per associazione mafiosa nel maxi processo Jonny, scaturito dall’inchiesta che nel maggio 2017 portò ad una vasta operazione interforze contro la cosca Arena, tra le più potenti della ‘ndrangheta. I video, che documentano anche la chiassosa partecipazione del cantante neomelodico Tommy Riccio, sono stati postati su Tik Tok. Il linguaggio delle nuove leve dei clan è più social, rispetto al profilo riservato dei loro padri.
LA FESTA
Figlio del più carismatico Paolo, detto “Pistola”, figura di spicco della cosca Arena, della quale ha retto le fila nella fase focalizzata dall’inchiesta Jonny, il ritorno a casa di Nicola Lentini è stato accompagnato da fuochi “leggeri” all’ora di pranzo. Poi, la sera, la festa vera e propria, con fuochi più potenti e canti e balli fino a tarda notte. Nicola Lentini è ben visibile mentre con un maglione a collo alto di colore bianco salta al ritmo di musica e abbraccia i suoi più stretti congiunti. Ma non è una festa soltanto privata perché qualcuno ha sentito il bisogno di “condividere”. Forse per esteriorizzare l’appartenenza mafiosa. Per allietare il convivio la scelta è caduta sul cantante napoletano, autore di testi come “Stanza 39”, tipica canzone da carcerati. “Sto cuntanne ll’anne, ‘e mise/ Ca stanno passanno aret’a ‘sti cancelle”, l’incipit del brano. Un brano che probabilmente Nicola Lentini conosce bene. Oltre alla pena inflittagli nel processo Jonny, è stato condannato anche nel processo Ghibli, altro duro colpo alla cosca Arena.
LINGUAGGIO SOCIAL
Le mafie comunicano in rete. Cercano proseliti anche sui social. Lo spiega bene lo storico delle organizzazioni criminali Antonio Nicaso. I “cattivi maestri” sono stati i cartelli messicani con la loro estetica del potere, della ricchezza, dell’appartenenza. La differenza con le organizzazioni criminali italiane è che ogni loro video postato è messaggio del gruppo e non dell’individuo. Così si costruiscono nuove narrazioni e si replicano sul web anche le pratiche di affiliazione. Ma presto «questa strategia di gruppo arriverà anche in Italia», aveva detto il professore Nicaso in una recente intervista al Quotidiano commentando il linguaggio social delle nuove leve della ‘ndrangheta.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA