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Katia Villirillo sul luogo del delitto compiuto 7 anni fa

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Dopo 7 anni dall’uccisione del 18enne Giuseppe Parretta nel centro antiviolenza di Crotone l’associazione “Libere donne” è ancora senza sede


CROTONE –Sette anni fa un giovane di 18 anni, Giuseppe Parretta, venne ucciso, con premeditazione, davanti alla madre, al fratello e alla sorella minorenni e alla fidanzata. Il delitto venne compiuto nella sede dell’associazione “Libere donne”, presieduta dalla madre della vittima, Katia Villirillo, che là si era temporaneamente stabilita con i figli. La Corte di Cassazione, nel novembre 2022, respingendo il ricorso difensivo, fece passare in giudicato la condanna all’ergastolo per Salvatore Gerace, il pluripregiudicato che assassinò a sangue freddo il ragazzo. Gerace viveva davanti alla sede dell’associazione.

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Il movente dell’omicidio è ricollegabile al particolare livore dell’imputato verso la mamma di Giuseppe, che con le sue denunce determinava un via vai di forze dell’ordine nel centro storico. L’omicida vedeva, così, disturbata la sua attività di spaccio di stupefacenti. La sede dell’associazione è ancora lì, nei pressi dell’abitazione dei familiari di Gerace. Le promesse della politica e delle istituzioni per l’individuazione di nuovi locali non sono state mantenute. «C’è chi dice che non è di sua competenza. Chi dice che farà qualcosa ma ancora, a distanza di sette anni, non ha fatto nulla. E c’è chi non sa neanche dove sia l’associazione», dice Katia Villirillo. «Ma per me – aggiunge – tornare ogni volta là è rivivere un dolore». Per questo l’ennesimo appello stavolta lo rivolge al presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto.

CROTONE, OMICIDIO PARRETTA DAVANTI LA SEDE DI LIBERE DONNE: LA CELEBRAZIONE

Oggi, alle 17.30, presso la chiesa dell’Immacolata, si svolgerà una messa per ricordare il giovane. «È giusto fare memoria e raccontare chi era Giuseppe affinché un giovane uomo che offre la sua vita per salvare le donne faccia riflettere tanti altri ragazzi, ma anche le persone adulte», dice la presidente dell’associazione. Gli strali di Katia Villirillo sono sulla politica. Ma non sulla città. «Non si può dimenticare la grande partecipazione ai funerali. C’erano tanti ragazzi dietro allo striscione “Peppe vive”. La città mi è stata sempre vicina».

LA VICENDA

Il povero Giuseppe fu ucciso con quattro colpi di pistola, di cui l’ultimo, che recise l’aorta, fatale. Collimanti sono state ritenute dai giudici le testimonianze della madre e dei ragazzi, spettatori di una tragedia immane. Gerace fece irruzione con un revolver in pugno e Parretta si lanciò contro di lui per placarne la furia, facendo da scudo umano, offrendo il suo corpo per salvare la madre, i fratelli, la fidanzata. Per questo divenne bersaglio, tant’è che l’assassino gli sparò a bruciapelo. In Appello la difesa puntava a far riconoscere l’infermità mentale di Gerace.

Ma è emerso che l’omicida ha agito con lucida freddezza, nelle piene capacità cognitive e volitive, tant’è che la Corte lo descriveva come «dissimulatore intelligente ed esperto nell’uso delle armi e persino di aspetti legali e procedurali». Gerace fu arrestato nell’immediatezza del fatto dagli agenti ai quali mostrò l’arma del delitto, riposta su un comò, affermando di aver “fatto quel che doveva fare”.

VITTIMA DI MAFIA

L’impegno della madre del povero Giuseppe prosegue anche per il riconoscimento di suo figlio come vittima della criminalità organizzata. Gli inquirenti non hanno mai ravvisato l’aggravante mafiosa. Ma per la madre della vittima la ‘ndrangheta c’entra. «Con la mia attività ho dato fastidio alle famiglie mafiose del territorio. Ho denunciato lo spaccio nel centro storico che è gestito dalla ‘ndrangheta. E continuo ancora a denunciare».

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