Iman Abdulcadir, studedentessa dell'Unical (a sinistra)
5 minuti per la letturaCROTONE – Il passaporto italiano permette a chi ne è titolare di andare ovunque, con quello somalo è tutta un’altra storia. Un vero e proprio «apartheid di viaggio», ha commentato su “Internazionale” la scrittrice Igiaba Scego. «Perché – ha continuato – se non sei nato nel Paese giusto, la tua vita si ferma alla frontiera». Esistono, dunque, documenti più forti degli altri. Avere un passaporto, per esempio, degli Stati Uniti apre le porte del mondo; avere un passaporto somalo, invece, equivale a dire che non si può andare quasi da nessuna parte («Solo 32 paesi permettono a un somalo o a una somala di entrare senza un visto o con un visto rilasciato all’ingresso del paese stesso», si legge ancora su “Internazionale”). Eppure c’è chi, nonostante la scarsa desiderabilità del passaporto somalo, ne ha necessariamente bisogno. Per chi è somalo, per l’appunto, il documento in questione rappresenta la condicio sine qua non per ottenere il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.
Questo è il caso di Iman Abdulcadir, nata 30 anni fa in Somalia e da 26 residente in Italia, a Cutro, nel Crotonese. Studentessa di geologia all’Università della Calabria, Iman racconta al “Quotidiano del Sud” la sua storia: un terribile limbo, conseguenza di servizi sospesi e indifferenza delle istituzioni. «L’incubo che sto vivendo inizia nel 2021, nell’anno, cioè, in cui avrei dovuto rinnovare il passaporto somalo e il permesso di soggiorno, entrambi in scadenza – spiega la studentessa – così, per completare le diverse pratiche burocratiche, mi metto immediatamente in contatto con l’Ambasciata somala a Roma: quello che avrei rinnovato, secondo l’iter ordinario, sarebbe stato il mio terzo passaporto somalo (il documento scade ogni 5 anni). Tuttavia – continua Iman – mi rendo conto che qualcosa non va: l’Ambasciata non risponde alle mie chiamate, alle mail, ai solleciti».
La giovane, così come gli appartenenti alla comunità somala in Italia coi passaporti in scadenza, si ritrova, quindi, bloccata nella terra di mezzo: l’Ambasciata a Roma ha, d’altronde, sospeso il servizio sia per problemi strutturali sia per problemi interni (basti solo pensare al fatto che nei primi mesi del 2022 la stessa Ambasciata di via dei Gracchi verrà di fatti occupata dal nuovo corpo diplomatico). Ma questo è un grande problema per Iman, un problema per tutte le conseguenze che ne derivano: il già citato permesso di soggiorno, il prosieguo degli studi, l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale. «A novembre 2021 – continua la ragazza – mi viene detto che l’unico modo per ottenere passaporto e, quindi, permesso, è rivolgermi alle Ambasciate e ai Consolati di Bruxelles o Parigi. A quel punto – chiosa – lascio tutto e, nonostante uscissi da una seria malattia, faccio il biglietto per Parigi, sostenendo anche diversi costi: qui avvio la pratica per il passaporto, ma non va come a Roma. Tantissime le domande, anche inopportune – aggiunge –, che mi vengono rivolte, dal perché non portassi il velo, che tra l’altro mi viene fatto indossare per la foto sul passaporto, a quella per cui non parlassi somalo. Fatto sta che – prosegue Iman –, superato tutto questo e dopo i vari pagamenti, mi viene assicurato che il passaporto sarà spedito a casa mia, a Cutro». Così, purtroppo, non è. I giorni passano, i mesi passano, e il passaporto non arriva.
«Inizialmente credevo – spiega ancora la studentessa – che fosse a causa della guerra in Ucraina, il mondo si era bloccato e, magari, questa poteva essere la ragione di un eventuale ritardo; poi dopo ho capito: quel documento non sarebbe mai arrivato, da Parigi nessuna risposta. Ad oggi – dice la giovane –, sono quindi bloccata in Italia, non posso andare da nessuna parte, e, soprattutto, per il permesso di soggiorno a “proteggermi” è soltanto il documento che attesta che ne ho fatto richiesta e il mancato rilascio non dipende da me. Ma – domanda Iman – fino a quando questo documento sarà valido? Ho una terribile paura per quello che accadrà o potrebbe accadere: ho paura di non poter completare gli studi, di non potermi laureare, di non poter accettare un lavoro perché “irregolare”, di non poter vivere serenamente in Italia, il Paese dove sono cresciuta da quando ho 4 anni e che considero mio a tutti gli effetti e che, però, mi considera straniera non concedendomi la cittadinanza; ma questa – sospira – è un’altra storia».
In tutto questo tempo, Iman, che a Cutro vive con la madre, non è stata con le mani in mano. «Ho chiesto a un avvocato, quello da patrocinio gratuito – spiega -, ma lui mi ha semplicemente consigliato di scrivere lettere alle istituzioni. Ne ho ad esempio mandate due al presidente della Repubblica Mattarella. Mentre in molti ipotizzano che quella di Parigi sia stata una truffa a mio danno – continua –, dalla Questura di Crotone mi dicono che loro stanno spingendo a livello ministeriale per sbloccare la situazione, ma non possono fare altro, hanno le mani legate. E oltretutto – dice la ragazza – ora che l’Ambasciata a Roma ha riaperto, ho chiesto aiuto, tuttavia mi hanno semplicemente risposto che ormai io sono “nel database di Parigi”». Come si possa trovare il bandolo della matassa a oggi è difficile da capire. Come uscirne anche. Ciò che è certo è che, come si accennava, nel 2023 bisogna nascere nel Paese giusto per non avere – o almeno tentare – di non avere paura.
«Abitando a Cutro – racconta Iman -, ho vissuto quasi in prima persona la drammatica vicenda del naufragio. È stato terribile. E in quei giorni ho riflettuto molto, ho pensato che se fossi nata oggi magari sarei stata una di quelle bambine perdute tra le onde. Negli anni Novanta, sebbene in maniera regolare e con asilo politico, mia mamma andò via, con me piccolina, dalla Somalia: quello che voleva era solo darmi una possibilità, la possibilità di un futuro. È ciò che, nei miei riguardi, spera ancora».
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