Luigi Bonaventura nell'incontro con Papa Francesco
2 minuti per la letturaCROTONE – «È un messaggio importante: il Papa abbraccia chi ha sbagliato, chi si pente e vuole cambiare vita. Un Papa che abbraccia un pentito lancia un messaggio anti-‘ndrangheta, che incoraggia la collaborazione con la giustizia». Parola di Luigi Bonaventura, ex reggente della cosca di Crotone, tra i fondatori dell’associazione “Sostenitori dei collaboratori e testimoni di giustizia”, la veste nella quale ha incontrato Francesco nel corso di un’udienza pubblica.
Un Papa che non si limita a chiedere ai mafiosi di convertirsi ma che li abbraccia e li sostiene durante il percorso di cambiamento. Un Papa, quello al quale Bonaventura ha consegnato la maglia dell’associazione da tempo impegnata in una battaglia per la tutela di chi denuncia le mafie, che già conosceva questo percorso, che è anche spirituale, di liberazione dall’oppressione dalla ‘ndrangheta perché è stato lui a scrivere la prefazione al libro-intervista “Passiamo all’altra riva”, in cui il pentito crotonese racconta la sua conversione morale.
Un libro testimonianza scritto da un sacerdote antimafia di Termoli, don Benito Giorgetta, che ha anche propiziato l’udienza pubblica dell’associazione dei collaboratori e testimoni di giustizia in Vaticano. Un incontro che ha molto toccato Bonaventura.
«Di solito ci chiedono di pentirci e basta, ma fare antimafia è recuperare i soggetti che hanno sbagliato e questo sta facendo il Papa». Unica nota dolente la mancata autorizzazione ai familiari del collaboratore di giustizia di recarsi in Vaticano.
«La mia famiglia non è stata autorizzata a partecipare all’udienza per motivi di sicurezza, ma il Vaticano è uno dei posti più sicuri al mondo e così si limita la libertà e la dignità di persone come mia moglie, per esempio, piccola imprenditrice denunciante, che ha denunciato le mafie prima di me. Questo programma di protezione – aggiunge Bonaventura – annulla la dignità e la libertà delle persone, il diritto allo studio, alla sanità all’inserimento socio-lavorativo. In questo caso – denuncia ancora – c’è stato anche ostruzionismo nel facilitare il diritto di culto».
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