La croce della Via Crucis realizzata coi pezzi del relitto
5 minuti per la letturaCUTRO (CROTONE) – Un fiume mesto di seimila persone ha sfilato, ieri pomeriggio, alla Via Crucis di Steccato di Cutro, la cui spiaggia una settimana fa è stata teatro diretto di un’ecatombe; un fiume mesto al seguito di quella croce sanguinante, portata a spalla sotto il primo sole di marzo, realizzata con ciò che resta della bagnarola su cui sono affondati i disperati. L’idea di realizzare una croce, «non bellissima ma drammatica», con ciò che restava della barca, per evitare che il mare «cancellasse il dramma», l’ha avuta, e l’ha raccontata, don Francesco Loprete, parroco di Le Castella, in apertura della processione.
Tra le più popolose località balneari della costa jonica, che d’estate conta oltre 20mila abitanti, quelli effettivamente residenti sono circa 800 nella frazione costiera. D’inverno si rischia di non incontrare nessuno se si fa un giro tra quelle stradine che pullulano di seconde residenze estive, le case del mare di moltissimi cutresi e di tanti dell’hinterland. Ma ieri pomeriggio c’era una fiumana di persone. “‘A jumara”, la chiamano da queste parti Foce Neto, la località in cui si è materializzato un dramma di proporzioni immani. «Sono seimila», dice il sindaco Antonio Ceraso in fascia tricolore mentre, col parroco di Steccato, don Pasquale Squillacioti, percorre le varie stazioni. Il suo occhio di ex comandante dei vigili urbani di solito ci becca. Vengono da Steccato, dall’altra frazione, San Leonardo, tanti da Cutro, dall’hinterland, da Crotone, ancora scossa dalla scena delle bare nel Palamilone. Ci sono anche i familiari di alcuni sopravvissuti.
Sul luogo del raduno, viene deposta una corona di orchidee bianche su un pannello realizzato dai cittadini di Steccato: rappresenta le mani di chi ha raccolto bimbi senza vita e superstiti, il cuore dell’Italia abbandonata, mentre l’onda è la coscienza civile. Ci sono le donne di Steccato, che frequentano la parrocchia del Cristo Risorto guidata dal giovane parroco, al seguito della Via Crucis, a spiegarcelo, questo disegno. Simona Sulla, una cascata di capelli biondi, osserva che «la solidarietà qui non manca, abbiamo portato coperte e lenzuola a questa gente appena è successo, e ora quelle scene, a cui non siamo abituati, perché siamo abituati ad accogliere più che altro i turisti, rimarranno per sempre nei nostri occhi». «Il mare resta, i ricordi pure, e noi residenti pure, col nostro dolore», le fa eco Stefania Salerno, bionda pure lei ma riccioluta. Con loro c’è un’altra parrocchiana, Teresa Luciano, la sorella di Vincenzo, il pescatore che quella mattina ha estratto tanti corpi restituiti dalla risacca. «Siamo una comunità unita, noi di Steccato». «E ora non ci resta che pregare per loro, qui c’è tanta tristezza, tanto dolore», aggiunge con tono mesto Serafina Malarco.
E parte la Via Crucis silenziosa, tra le vie di Steccato. A guidare il fiume di gente, la croce costruita nelle ore successive alla tragedia dall’artista Maurizio Giglio con i legni provenienti dal caicco su quale viaggiavano i migranti, e che il mare ha riportato sulla spiaggia: un simbolo molto forte. Sui tre pezzi di legno recuperati, «casualmente», ha raccontato sempre don Loptrete, sono stati trovati dei bulloni nella stessa posizione dei chiodi di Gesù; il terzo pezzo «richiama il braccio di Gesù, attaccato ancora alla croce, il braccio di questi nostri fratelli. Il secondo braccio è staccato come se venisse incontro a questi nostri fratelli e sorelle. Richiama anche un raggio che dall’alto colpisce il cuore». La croce sarà poi custodita nella chiesa di Steccato di Cutro e farà tappa nelle altre chiese dell’Arcidiocesi e nella Basilica Cattedrale di Crotone. Quattordici le stazioni della Via Crucis con la croce portata dalle varie parrocchie del Crotonese e del Catanzarese, e – nell’ultima – dai sindaci di Cutro ed Isola Capo Rizzuto – Antonio Ceraso e Maria Grazia Vittimberga.
Le ultime due stazioni sono state collocate sulla spiaggia di Steccato di Cutro, a poca distanza dal luogo della tragedia. A chiudere il lungo momento di preghiera, l’arcivescovo di Crotone e Santa Severina, monsignor Angelo Panzetta che, prima della benedizione ai fedeli, ha usato parole molto dure. «Oggi abbiamo imparato tre cose – ha detto – la prima è che siamo fratelli che camminano dietro la croce di Gesù e che riconoscono il significato della vita, la luce per le giornate luminose e buie che stiamo vivendo. La Via Crucis ci ha insegnato anche la necessità della penitenza e della conversione: siamo discepoli di Gesù che ha un io accogliente. Lui è il cuore accogliente di Dio nei confronti dell’umanità. Ma come mai, dopo 2000 anni di cammino dietro Gesù non abbiamo imparato veramente ad accoglierci? Qualcosa non sta funzionando nella nostra vita: se accogliamo veramente il Signore Gesù, dobbiamo farci cambiare il cuore, e non permettere alla paura di farci diventare persone con il cuore gelido. Se siamo cristiani, non possiamo non essere accoglienti; se siamo cristiani, dobbiamo essere accoglienti. E quindi non vogliamo un’Europa col filo spinato. Non vogliamo un’Europa nella quale è veramente difficile trovare accoglienza».
«Sappiamo bene, dal Vangelo – ha proseguito il monsignore – che i poveri sono la carne di Gesù. Quelli che hanno perso la vita in questo mare sono la carne di Gesù. E, guardando questo mare, dobbiamo batterci il petto tutti, nessuno escluso, perché abbiamo la responsabilità di ingenerare intorno a noi un clima di accoglienza, di fraternità, di rispetto, di amicizia. Chiediamo al Signore proprio questo dono di conversione: vogliamo essere comunità ospitali; nel dna della nostra gente, del nostro territorio, avere il cuore spalancato. Non permettiamo alla paura di renderci comunità dal cuore gelido, atterrite difronte alla diversità: noi vogliamo una convivialità delle differenze». «La terza cosa che abbiamo imparato oggi – ha concluso il vescovo di Crotone – è la speranza. Se il mare ha inghiottito questi nostri fratelli, nella fede sappiamo che Dio, oceano di pace, con il suo cuore di padre li ha accolti ed abbracciati».
A condividere il momento di preghiera anche i vescovi di Cosenza e Lamezia Terme, monsignor Giovanni Checchinato, e monsignor Serafino Parisi, già parroco di Steccato. «Questa gente ha davvero il cuore grande – ha detto, in particolare, monsignor Parisi – nel 2004 c’è stato uno sbarco di notte. E qui, subito, tutta la gente si è riversata in spiaggia con coperte, cappotti, acqua, pane; hanno aperto le case, hanno ospitato queste persone. Questo per dire che qui abbiamo cuore». La solidarietà partecipata e non urlata dei calabresi.
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